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Policoro
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==Storia== ===Greci e Romani=== La prima traccia della civiltà greca che si può riscontrare sul territorio di Policoro è costituita dalla ricca e fiorente città di Siris. Secondo mitologia e tradizione, Siris fu fondata da esuli della guerra di Troia attorno al XII sec. a.C. Più verosimilmente, la fondazione della città, costruita sulle rive dell’omonimo fiume (oggi Sinni), è da ricondurre ai Colofoni ed è da collocare attorno al VII sec. a.C. La prospera Siris fu distrutta attorno alla metà del VI secolo a.C. dalla coalizione formata dalle colonie achee di Sibari, Crotone e Metaponto. Nel 433/432 a.C., a circa 4 chilometri dalle rovine dell’antica Siris, i Tarantini fondarono Heraclea (o Eraclea), dedicandola all’eroe Eracle (Ercole). La città comprendeva numerose strutture abitative ed edifici pubblici ed era attraversata da nord a sud da un’importante via di comunicazione il cui percorso è stato ricalcato dal Regio Tratturo e, più recentemente, dalla strada statale 106 Ionica. Attorno al 330 a.C. Heraclea divenne indipendente da Taranto: la città iniziò a coniare monete, di bronzo, che ritraggono Ercole che lotta contro il leone di Nemea. Nel 280 a.C. Heraclea fu teatro di una battaglia tra Taranto e Roma, un importante scontro nell’ambito delle guerre pirriche. La battaglia fu vinta dai Tarantini che, tuttavia, otto anni dopo, furono sconfitti. Dal suo epilogo, favorevole a Pirro ma a fronte di grosse perdite, proviene il modo di dire “Vittoria di Pirro” «che indica che il successo ottenuto da una impresa ha comportato sforzi e/o perdite sproporzionate rispetto al successo stesso.»<ref>Rosa Piro, [https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Modi_di_dire31.html ''La vittoria di Pirro'', «Treccani magazine», 18 febbraio 2022].</ref>. A causa della caduta di Taranto anche gli altri centri della costa ionica andarono incontro a un rapido declino: le città furono incapaci di far fronte allo straripamento dei fiumi e alla conseguente formazione di stagni e di acquitrini che, col passare del tempo, diedero forma a vere e proprie paludi. Questa situazione contribuì alla diffusione della malaria e allo spopolamento dell’intera zona. <ref>Percoco, 2010, pp. 91-95.</ref> ====Le tavole di Heraclea==== Le tavole di Heraclea sono due tavole bronzee risalenti al IV sec. a.C. Sulle tavole sono iscritte due leggi con cui il governo della città disponeva la nuova divisione e redistribuzione di due terreni sacri. La prima tavola contiene su una facciata un testo in greco relativo alle «terre di Dioniso» e, sul retro, un testo in latino di molto successivo con un frammento di una legge romana, forse la ''Lex Iulia Municipalis''. L’incompletezza del provvedimento in latino lascia pensare all’esistenza di un’ulteriore tavola greca, poi riutilizzata dai romani per la restante parte della disposizione. La seconda tavola, iscritta solo su una facciata, presenta un testo, in greco, relativo alle «terre di Atena». I provvedimenti si rendevano necessari a causa della lunga occupazione di quei terreni da parte di membri molto influenti dell’aristocrazia cittadina: le tavole suggeriscono, dunque, il passaggio da una fase oligarchica a una più democratica e rappresentano, di fatto, la prima delle due riforme agrarie che interesseranno, a distanza di secoli l’una dall’altra, il territorio di Policoro <ref>Percoco, 2010, p. 97.</ref>. La tavole di Heraclea furono ritrovate nel 1732 nei pressi del torrente Cavone, che segnava il confine tra il territorio di Heraclea e quello di Metaponto: probabilmente proprio lì sorgeva l’antico archivio pubblico della città. <ref>Filippo Coarelli, ''Problemi e ipotesi sulle Tavole greche di Eraclea'', in ''Siritide e Metapontino: storie di due territori coloniali'', Napoli, Centre Jean Bérard - Fondazione Paestum, 1998, pp. 281-290.</ref> Oggi le tavole sono conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli. ===Dal Medioevo all'Ottocento=== La mancanza, per lungo tempo, di notizie su Heraclea è conseguenza del rapido processo di spopolamento dovuto alla diffusione della malaria nella zona. In età bizantina (968-1050) sulla collina dell'acropoli venne edificata una nuova città: Pollicorum, costituita da una borgata, da una chiesa e da un monastero basilano. Il nome, che deriva dal greco, significa «luogo molto spazioso», «ampia pianura». Dal Trecento al Settecento il feudo fu sotto il controllo dei Sanseverino di Napoli e, successivamente, fu donato ai gesuiti. La principessa Maria Grimaldi di Gerace acquistò il feudo nel 1791 e avviò i lavori che trasformarono il monastero nel castello. Nel 1870 un Regio Decreto rese Policoro una frazione del vicino comune di Montalbano Ionico. Infine, nel 1893 il feudo e il castello furono venduti al barone Luigi Berlingieri, di Crotone. L’economia di Policoro si basava sull’agricoltura, sulla caccia e su una fabbrica di liquirizia: un migliaio di persone lavorava nel feudo. Pochi o nulli erano stati gli interventi realizzati per debellare la malaria che, infatti, falcidiò a lungo la popolazione. <ref>Percoco, 2010, pp. 97-98.</ref> ===Novecento e riforma fondiaria=== All’inizio del Novecento «Policoro era un immenso feudo baronale ostile alla vita ed alle attività dell’uomo per la malaria, gli acquitrini, la mancanza di strade e mille difficoltà» <ref>Valicenti in Amministrazione comunale di Policoro (a cura di), ''Policoro 1959-1969, Dieci anni di autonomia comunale'', Matino, 1969, p. 119.</ref>. Durante il primo Novecento furono pianificati diversi tentativi di bonifica e di sviluppo del metapontino. Due furono i principali: il primo ad opera dei governi Zanardelli e Giolitti, il secondo sotto il regime fascista. Tutti i progetti si rivelarono, tuttavia, fallimentari. Nel secondo dopoguerra, sempre più frequenti, partecipate e meglio coordinate occupazioni delle terre portarono all'attenzione dei governi la necessità e l'urgenza di una bonifica del Mezzogiorno. Nel 1950 il governo De Gasperi avviò il più grande e organico processo di riforma agraria dell’Italia meridionale: istituì la «Cassa per il Mezzogiorno» allo scopo di finanziare iniziative per lo sviluppo del Sud, sviluppò i piani di bonifica e avviò gli espropri dei latifondi, corrispondendo ai proprietari un indennizzo. La lottizzazione e la redistribuzione delle terre avvennero negli anni seguenti, favorendo famiglie a basso reddito: l’acquisto del podere avveniva a rate in trent’anni. Il paesaggio del metapontino cambiò in modo importante a causa della riforma: furono costruite strade di servizio rettilinee, parallele alla «Litoranea ionica» (realizzata durante il Ventennio) e alla ferrovia, e furono tracciati campi regolari, rettangolari. Il podere era costituito, oltre che dal campo, da una casa colonica. Per sfruttare l'acqua dei fiumi per l'irrigazione furono costruiti numerosi canali e alcune dighe, tra cui quelle di Gannano e del Pertusillo sull'Agri e quella di San Giuliano sul Bradano<ref>Consorzio di Bonifica della Basilicata, ''[https://www.bonificabasilicata.it/chi-siamo/dighe/ San Giuliano]'' e ''[https://www.bonificabasilicata.it/chi-siamo/dighe/ Gannano]'' e Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale, Sede della Basilicata, ''[http://www.adb.basilicata.it/adb/risorseidriche/invaso.asp?invaso=Pertusillo Invaso del Pertusillo]''.</ref>. Furono inoltre realizzati 250 chilometri di strade. Il territorio fu dotato di servizi primari e non: accesso all’acqua potabile, illuminazione pubblica, scuole, assistenza sanitaria, banche, sedi di partiti politici.<ref>Percoco, 2010, pp. 19-90.</ref> A Policoro la riforma fondiaria inizialmente creò, sui 5625 ettari espropriati ai Berlingieri, 700 poderi tra i 3 e i 5 ettari. Verso la fine degli anni Cinquanta fu portato a termine il disboscamento di circa 1000 ettari di pineta al fine di ricavare nuovi poderi e campi coltivabili: simili interventi sul bosco furono accompagnati da non poche polemiche. Le famiglie assegnatarie dei poderi provenivano principalmente da località limitrofe, ma anche dal potentino e da Puglia e Calabria. Nel 1953 iniziò la costruzione della «Borgata dei servizi», o «Borgata nuova». La «Borgata nuova» ha il proprio cuore in «Piazza Eraclea», tuttora punto nevralgico di Policoro. La borgata era costituita da edifici che ospitavano servizi essenziali per la comunità: scuole, asili, la delegazione comunale, l’ufficio postale, l’ambulatorio, magazzini, depositi e uffici di assistenza per le famiglie e i lavoratori agricoli. Policoro, grazie alla sua posizione baricentrica sulla piana di Metaponto, in questo modo riconquista un tratto importante che era stato di Heraclea: l'essere punto di riferimento per l’intero circondario. <ref>Percoco, 2010, pp. 102-109.</ref> Ulteriore impulso all’economia di Policoro fu dato dalla costruzione e dall’apertura, nel 1955, dello zuccherificio. L'impianto, chiuso nel 1991, dava lavoro, considerando anche l’indotto, a circa 400 persone. Nel 1959, con una popolazione di circa 4000 persone, Policoro diventò un comune autonomo. Per far fronte a un costante incremento demografico nel neonato comune si dovettero costruire nuovi edifici residenziali, dando il via a un’espansione che è ancora in corso. Lo sviluppo sociale ed economico di Policoro fu rapido, con nuovi servizi offerti alla comunità: il Liceo Scientifico «Enrico Fermi» aprì nel 1967, il Museo archeologico Nazionale della Siritide nel 1969 <ref>La costruzione e l'apertura del museo di Policoro, così come gli scavi di Siris e di Heraclea si devono anche al lavoro dell'archeologo Dinu Adamesteanu (Toporu, Romania, 25 marzo 1913 - Policoro, 21 gennaio 2004), pioniere dell’aerofotografia in campo archeologico e primo Soprintendente archeologico della Basilicata, dal 1964. (Liliana Giardino, [http://www.iccd.beniculturali.it/getFile.php?id=6806 Omaggio a Dinu Adamesteanu, «Archeologia aerea», I, 2004], pp. 20-21).</ref>. Nel 1970 entrò in funzione l’ospedale civile, fondamentale per il metapontino, i comuni dell’entroterra e alcuni comuni dell'alta Calabria ionica. Nella zona Lido furono costruite zone residenziali, impianti alberghieri, campeggi e stabilimenti balneari. Nel 1988 al comune di Policoro venne conferito il titolo di «''Città''». Nel 2010, infine, è stato inaugurato il «Centro Commerciale Heraclea»: l’unico polo commerciale del metapontino e uno dei più grandi della Basilicata <ref>Trovaparchi, ''[http://www.trovaparchi.it/commerciali/centro-commerciale-heraclea Centro commerciale Heraclea]''.</ref>, con un bacino d’utenza di circa 75.000 persone <ref>Percoco 2010, p. 168.</ref>. <ref>Percoco, 2010, pp. 111-137.</ref>
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