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=== Storia antica === Il pugilato è presente anche nella mitologia greca, secondo la quale furono Teseo e Ercole le due figure portanti di questa disciplina. I miti greci infatti raccontano che Zeus, padre degli dei, ebbe da Alcmena un figlio, chiamato Eracle, ma conosciuto da tutti come Ercole, il quale dimostrava una particolare predisposizione al combattimento e una grande forza fisica. Il fanciullo infatti fin da neonato diede prova della sua potenza, uccidendo due serpenti che avrebbero dovuto soffocarlo su commissione di Era. Una volta maggiorenne Ercole partì insieme a Teseo, un altro grande combattente, e i due assistettero ad una lotta, in cui Polluce (uno dei Dioscuri, di cui l'altro era Castore) sconfisse Amico, re dei Bebrici e figlio di Poseidone. Questo ''match'' venne riportato fase per fase da Teocrito, poeta presente sulla nave.<ref>Giuliano 1982, p. 13.</ref> Le prime testimonianze mitiche sul pugliato risalgono quindi a Teseo ed Ercole, insieme a Polluce e Castore, ai quali si aggiungono successivamente Achille, Diomede e Nestore, istruiti da Chirone, il primo maestro riconosciuto di questa disciplina. Fin dal III millennio a.C. si hanno comunque testimonianze storiche dell’esistenza di sport molto vicini al pugilato, come vasi e affreschi risalenti all'Età del bronzo, in cui vengono ritratti pugili che combattono. Anche Omero nell’''Iliade'' e nell’''Odissea'' descrive con vigore la lotta tra Ulisse e Iro, spinti a battersi per il possesso di un po' di pane, e il combattimento tra Epeo ed Eurialo. In India, in seguito, nel poema ''Ramayana'' viene esaltata la lotta a pugni nudi. Sin dall’antichità il pugilato fu stimato anche per la preparazione che offriva al combattimento, insegnando a evitare colpi e a darli con più precisione, rapidità e decisione. Gli etruschi in particolare coltivarono molto questo sport, tramandando questa passione ai romani. Catone stesso fece apprendere al figlio l’arte del pugilato, mentre Caligola e Cesare Augusto ne furono grandi appassionati. La tecnica utilizzata era la stessa che si adotta ancora oggi, ma con effetti più gravi, poiché i pugili erano soliti usare il cesto (''caestus''), un antico guanto da combattimento di cuoio indurito guarnito con borchie di piombo, che copriva l’avambraccio e il pugno. I colpi erano diretti soprattutto al viso e alla parte superiore del corpo, ed era gravemente punita l’uccisione premeditata dell’avversario.<ref>Giuliano, 1982, pp. 13-15.</ref>
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