Carnevale di Putignano: differenze tra le versioni

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Il Carnevale di Putignano, cittadina situata nel sud barese, è uno dei Carnevali più conosciuti d’Italia e uno dei più antichi d’Europa. Nato nel 1394, ha celebrato nel 2023 la sua 629esima edizione. La sua data d’inizio è il 26 dicembre, giorno dedicato a Santo Stefano, patrono del paese, e anche al rito delle Propaggini, e si conclude il Martedì Grasso, giorno che precede l’inizio della Quaresima: questo lo rende uno dei Carnevali di maggior lunghezza d'Europa. Durante questo arco di tempo, si tengono numerosi festeggiamenti; i più noti sono le sfilate dei carri di cartapesta. La maschera ufficiale è Farinella.
Il Carnevale di Putignano, cittadina situata a sud della città metropolitana di Bari, è uno dei Carnevali più conosciuti d’Italia e uno dei più antichi d’Europa. Nato nel 1394, ha celebrato nel 2023 la sua 629esima edizione.  
 
Il Carnevale inizia il 26 dicembre, giorno dedicato a Santo Stefano, patrono del paese, e al rito delle Propaggini, e si conclude il Martedì Grasso, giorno che precede l’inizio della Quaresima: questo lo rende uno dei Carnevali di maggior lunghezza d'Europa. Durante questo arco di tempo si tengono numerosi festeggiamenti; i più noti sono le sfilate dei carri di cartapesta. La maschera ufficiale è Farinella.


[[File:Carro vincitore.jpg|miniatura|Carro vincitore dell'edizione del 2019, realizzato dal maestro Deni Bianco]]
[[File:Carro vincitore.jpg|miniatura|Carro vincitore dell'edizione del 2019, realizzato dal maestro Deni Bianco]]
==La storia==
==Storia==
Il Carnevale di Putignano inizia il 26 dicembre: questo lo differenzia dagli altri Carnevali italiani che tradizionalmente spesso cominciano il 17 gennaio, giorno di grande importanza per la società contadina poiché dedicato a Sant’Antonio, protettore degli animali. La loro uccisione era, in un’ottica religiosa, una liberazione dal male data la sua associazione simbolica con il demonio e con il peccato. In un’ottica contadina invece la loro macellazione era una necessità poiché fonte di carne abbondante e grassa. Queste macellazioni in realtà anticipavano già tradizioni carnevalesche odierne come cortei e mascherate, rituali primitivi di devozione religiosa che però portavano già in sé i semi di una interdipendenza tra sacro e profano. <ref>Pietro Sisto, ''I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà'', p. 20</ref>
Il Carnevale di Putignano inizia il 26 dicembre: questo lo differenzia dagli altri Carnevali italiani che tradizionalmente spesso cominciano il 17 gennaio, giorno di grande importanza per la società contadina poiché dedicato a Sant’Antonio, protettore degli animali. La macellazione degli animali era, in un’ottica religiosa, una liberazione dal male data la loro associazione simbolica con il demonio e con il peccato, mentre, in un’ottica contadina, era una necessità poiché fonte di carne abbondante e grassa. Queste macellazioni, alla base di tradizioni carnevalesche odierne come cortei e mascherate, portavano già in sé i semi di una interdipendenza tra sacro e profano.<ref>Pietro Sisto, ''I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà'', p. 20</ref>
[[File:Gruppi_mascherati.jpg|miniatura|Gruppi mascherati sfilano precedendo i carri allegorici]]
[[File:Gruppi_mascherati.jpg|miniatura|Gruppi mascherati sfilano precedendo i carri allegorici]]


Secondo una tradizione locale, il Carnevale di Putignano risale all’anno 1394. Inizialmente, era fatto di riti violenti e gesti molto forti non solo sul piano simbolico-allusivo, ma anche su quello fisico tanto da spingere le autorità competenti a emanare bandi e regolamenti per mettere un freno a violenze di ogni genere compiute da singoli individui o gruppi mascherati; violenze che spesso consistevano nel lancio di oggetti pesanti e pericolosi che variavano a seconda della classe sociale cui appartenevano i protagonisti delle mascherate.  Pertanto, nel 1826 il Consiglio Comunale deliberò la soppressione dei festeggiamenti. E proprio mentre tramontava quel tipo di Carnevale, ne nasceva un altro, meno aggressivo, più moderno e borghese, fatto di coriandoli e cartapesta, simbolo di una festa che ha per protagonisti non più i contadini, ma la piccola borghesia urbana, artigiani e commercianti.<ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', p.12.</ref>
Secondo una tradizione locale, il Carnevale di Putignano risale all’anno 1394. Inizialmente, era fatto di riti violenti e gesti molto forti non solo sul piano simbolico-allusivo, ma anche su quello fisico tanto da spingere le autorità competenti a emanare bandi e regolamenti per mettere un freno a violenze di ogni genere compiute da singoli individui o gruppi mascherati; violenze che spesso consistevano nel lancio di oggetti pesanti e pericolosi che variavano a seconda della classe sociale cui appartenevano i protagonisti delle mascherate.  Questo Carnevale, che si rivelava sempre più violento e aggressivo, divenne, a partire dai primi anni del Novecento, più moderno e borghese, impostato sulla realizzazione di grandi carri di cartapesta e con protagonisti non più i contadini, ma la piccola borghesia urbana e gli artigiani. Si ha quindi una istituzionalizzazione del Carnevale di Putignano che perde in parte le sue caratteristiche contadine e arcaiche dal sapore magico e violento.<ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', p.12.</ref>  


E così, durante i primi anni del Novecento, il Carnevale inizia il suo percorso di trasformazione che lo porterà a essere quello di oggi. Si può parlare, infatti, in questo periodo, di una istituzionalizzazione del Carnevale di Putignano che perde in parte le sue caratteristiche contadine e arcaiche dal sapore magico e violento. A caratterizzare il nuovo Carnevale sono i carri allegorici in cartapesta e i gruppi mascherati che sfilano per le strade principali del paese la sera del Martedì Grasso e durante le tre domeniche precedenti. È piuttosto difficile, però, indicare precisamente la data d’inizio dei corsi mascherati. Alcune testimonianze orali raccontano di piccoli “carri allegorici” costruiti da artigiani e contadini a partire da carri agricoli addobbati con paglia e stracci per celebrare piccoli avvenimenti storici.  
A caratterizzare il nuovo Carnevale sono i carri allegorici in cartapesta e i gruppi mascherati che sfilano per le strade principali del paese la sera del Martedì Grasso e durante le tre domeniche precedenti. È piuttosto difficile, però, indicare precisamente la data d’inizio dei corsi mascherati. Alcune testimonianze orali raccontano di piccoli “carri allegorici” costruiti da artigiani e contadini a partire da carri agricoli addobbati con paglia e stracci per celebrare piccoli avvenimenti storici.  


Nel 1903 il contadino Piero Calisi costruì un treno di legno per celebrare l’arrivo della linea ferroviaria per Locorotondo, paese limitrofo. Nel 1912 una comitiva di maschere scese in strada su un carretto trainato da un asino per celebrare la conquista di Tripoli. Bisognerà aspettare il 1933 per la presenza di ideologie allegoriche e polemiche. Durante quest’anno la città vide sfilare il primo piccolo carro allegorico antiamericano del fabbro Filomeno Pagliarulo. Un bambino vestito in frak e bombetta, simbolo degli USA, sedeva di fianco ad un ragazzo dal volto nero, simbolo dell’emarginazione dei popoli “deboli” rispetto allo strapotere americano.  
Nel 1903 il contadino Piero Calisi costruì un treno di legno per celebrare l’arrivo della linea ferroviaria per Locorotondo, paese limitrofo. Nel 1912 una comitiva di maschere scese in strada su un carretto trainato da un asino per celebrare la conquista di Tripoli. Bisognerà aspettare il 1933 per la presenza di ideologie allegoriche e polemiche. Durante quest’anno la città vide sfilare il primo piccolo carro allegorico antiamericano del fabbro Filomeno Pagliarulo. Un bambino vestito in frak e bombetta, simbolo degli USA, sedeva di fianco ad un ragazzo dal volto nero, simbolo dell’emarginazione dei popoli “deboli” rispetto allo strapotere americano.  
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Il regime fascista fu il punto di snodo dello sviluppo del Carnevale, sia perché durante questo periodo si riscontrò una forte industrializzazione del paese, sia perché i cittadini decisero di scendere per strada in “parata”. Lo stesso concetto di parata fu riportato in auge dal Regime che tentava un controllo tematico delle celebrazioni, mirando a trasformare la sfilata in un'occasione di propaganda politica e militare. Il podestà, posto a capo dell’amministrazione comunale, infatti, stanziava annualmente un montepremi e conferiva encomi alle mascherate che esaltavano il Regime.  
Il regime fascista fu il punto di snodo dello sviluppo del Carnevale, sia perché durante questo periodo si riscontrò una forte industrializzazione del paese, sia perché i cittadini decisero di scendere per strada in “parata”. Lo stesso concetto di parata fu riportato in auge dal Regime che tentava un controllo tematico delle celebrazioni, mirando a trasformare la sfilata in un'occasione di propaganda politica e militare. Il podestà, posto a capo dell’amministrazione comunale, infatti, stanziava annualmente un montepremi e conferiva encomi alle mascherate che esaltavano il Regime.  


Durante questo periodo cominciò a prendere piede la lavorazione della cartapesta. Nel 1936 infatti comparve il carro degli artigiani locali Filippo e Marino Pugliese, una struttura in legno sormontata da un elefante in cartapesta, simbolo del duce e della sua forza durante le imprese coloniali. Tutta la struttura era rinforzata da una rete metallica che le permetteva di essere “cavalcata” da sei persone; per la prima volta, era possibile muovere la proboscide dell’elefante mentre alcuni bambini, nascosti nella pancia, lanciavano coriandoli.<ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', pp.8-10.</ref>
Durante questo periodo cominciò a prendere piede la lavorazione della cartapesta. Nel 1936 comparve il carro degli artigiani locali Filippo e Marino Pugliese, una struttura in legno sormontata da un elefante in cartapesta, simbolo del duce e della sua forza durante le imprese coloniali. Tutta la struttura era rinforzata da una rete metallica che le permetteva di essere “cavalcata” da sei persone; per la prima volta, era possibile muovere la proboscide dell’elefante mentre alcuni bambini, nascosti nella pancia, lanciavano coriandoli.<ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', pp.8-10.</ref>


Il primo carro allegorico vero e proprio, ''Il porco è nostro'', fu realizzato nel 1938 dai maestri Rocco Faniuolo e Fedele Dalessandro. Il titolo del carro non solo confermava la centralità dell'animale all’interno del fenomeno carnevalesco ma riprendeva͔ tradizionalmente un vecchio detto che esprimeva la più grande soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo: in questo caso i due artisti esultavano per la conquista del potere da parte dei fascisti.
Il primo carro allegorico vero e proprio, ''Il porco è nostro'', fu realizzato nel 1938 dai maestri Rocco Faniuolo e Fedele Dalessandro. Il titolo del carro non solo confermava la centralità dell'animale all’interno del fenomeno carnevalesco ma riprendeva͔ tradizionalmente un vecchio detto che esprimeva la più grande soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo: in questo caso i due artisti esultavano per la conquista del potere da parte dei fascisti.
[[File:Sfilata2.jpg|miniatura|Classificato al 2° posto nell'edizione del 2021]]
[[File:Sfilata2.jpg|miniatura|Classificato al 2° posto nell'edizione del 2021]]


Durante la Seconda Guerra Mondiale il Carnevale entrò in un periodo di crisi per svilupparsi in modo più ricco e spettacolare a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, parallelamente alla ricrescita economica del Paese. È  in questo periodo che la sfilata diventa il simbolo del Carnevale pugliese, che entra nella sua fase d’oro. Venne, infatti, introdotta la competizione, in vigore ancora oggi, tra i maestri cartapestai con premi che ammontavano, all’epoca, a 60.000 e 70.000 lire e tra le maschere di carattere con premi tra le 1000 e le 5000 lire. Da un punto di vista artistico i maestri cartapestai iniziarono ad affinare la tecnica e la cartapesta trionfò come simbolo di questo Carnevale.
Durante la Seconda Guerra Mondiale il Carnevale entrò in un periodo di crisi per svilupparsi in modo più ricco e spettacolare a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, parallelamente alla ricrescita economica del Paese. In questo periodo la sfilata diventa il simbolo del Carnevale di Putignano, che entra nella sua fase d’oro. Venne, infatti, introdotta la competizione, in vigore ancora oggi, tra i maestri cartapestai con premi che ammontavano, all’epoca, a 60.000 e 70.000 lire, e tra le maschere di carattere con premi tra le 1000 e le 5000 lire. Da un punto di vista artistico i maestri cartapestai iniziarono ad affinare la tecnica e la cartapesta trionfò come simbolo di questo Carnevale.
 
Negli anni Cinquanta le tecniche subirono un’ulteriore evoluzione. Nella lavorazione cominciò a essere utilizzata anche l’argilla e cambiò il sistema di locomozione dei carri che, non più tirati a mano o da animali, iniziarono ad essere trainati da camion.


Negli anni Cinquanta le tecniche subirono un’ulteriore evoluzione. Nella lavorazione dei carri cominciò a essere utilizzata anche l’argilla e cambiò il sistema di locomozione dei carri che, non più tirati a mano o da animali, iniziarono ad essere trainati da camion.
Con l’arrivo nel 1954 della televisione in Italia, il Carnevale cambia ulteriormente forma: la radio lo pubblicizza, la televisione e il cinema ispirano i suoi nuovi protagonisti in cartapesta sempre più mastodontici e scenografici. Gli artisti prendono, adesso, ispirazione anche dai modelli comunicativi culturali. <ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', pp.14-19.</ref>
Con l’arrivo nel 1954 della televisione e dei nuovi media in Italia, il Carnevale cambia ulteriormente forma. La radio lo pubblicizza, la televisione e il cinema ispirano i suoi nuovi protagonisti in cartapesta sempre più mastodontici e scenografici. Gli artisti prendono, adesso, ispirazione anche dai modelli comunicativi culturali. <ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', pp.14-19.</ref>


Tra i soggetti preferiti ci sono “storie” e personaggi tratti dal mondo della televisione, delle favole e di Walt Disney (Topo Gigio, Pinocchio, gli elfi, i pirati e gli indiani e così via), ma anche dalla vita quotidiana, così come viene proposta dai grandi mezzi di comunicazione di massa. A metà degli anni Cinquanta il Carnevale ha terminato il suo processo di «sprovincializzazione» e svecchiamento e ha ottenuto la fama regionale e nazionale che possiede tuttora.<ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', p.20</ref>
Tra i soggetti preferiti ci sono “storie” e personaggi tratti dal mondo della televisione, delle favole e di Walt Disney (Topo Gigio, Pinocchio, gli elfi, i pirati e gli indiani e così via), ma anche dalla vita quotidiana, così come viene proposta dai grandi mezzi di comunicazione di massa. A metà degli anni Cinquanta il Carnevale ha terminato il suo processo di «sprovincializzazione» e svecchiamento e ha ottenuto la fama regionale e nazionale che possiede tuttora.<ref>Pietro Sisto, ''Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia'', p.20</ref>
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[[File:Propaggini.jpg|miniatura|Un gruppo di "propagginanti" si esibisce sul palco il 26 dicembre]]
[[File:Propaggini.jpg|miniatura|Un gruppo di "propagginanti" si esibisce sul palco il 26 dicembre]]


Per comprendere come questa giornata sia dedicata sia al sacro che al profano, bisogna tornare indietro nel tempo nel 1394, durante gli attacchi saraceni sulle coste adriatiche della penisola. Con lo scopo di salvarle dai saccheggi, i Cavalieri di Malta decisero di traslare le reliquie di Santo Stefano da Monopoli alla chiesa di Santa Maria la Greca a Putignano, il 26 dicembre, poiché la città costiera di Monopoli era considerata un territorio poco sicuro al contrario di Putignano che invece è situata nell’entroterra. Così, al passaggio del corteo religioso i contadini di Putignano, impegnati nella propagginazione della vite, abbandonarono i campi per proteggere le reliquie, festeggiando, brindando, innalzando canti in dialetto e versi satirici, facendo così nascere la festa delle Propaggini.
Alla base della tradizione si trova un episodio verificatosi nel 1394, durante gli attacchi saraceni sulle coste adriatiche della penisola. Con lo scopo di salvarle dai saccheggi, i Cavalieri di Malta decisero di traslare le reliquie di Santo Stefano dalla città costiera di Monopoli alla chiesa di Santa Maria la Greca a Putignano, il 26 dicembre. Così, al passaggio del corteo religioso i contadini di Putignano, impegnati nella propagginazione della vite, abbandonarono i campi festeggiando, brindando, innalzando canti in dialetto e versi satirici, facendo così nascere la festa delle Propaggini.


Questa festa tra Ottocento e Novecento ha subito notevoli trasformazioni, sia per quanto riguarda il suo significato più profondo e autentico, sia per quanto riguarda gli stessi protagonisti. Fino alla metà del XIX secolo, il rito consisteva nella messa in scena, nel paese, delle principali attività dei campi, prima fra tutte la zappatura, effettuando dunque una rappresentazione urbana di una realtà contadina rovesciata che poteva avere la sua rivalsa su quella urbana e operaia. Questa tradizione fu soppressa nel 1826 dalle autorità locali poiché il corteo provocava ingenti danni alle strade e alle abitazioni. Successivamente però il rito fu riscoperto e modificato in chiave teatrale: le vanghe, i picconi e le zappe si trasformarono in “oggetti di scena” di legno e la violenza fisica contadina fu sostituita dall’invettiva verbale e dai lamenti satirici.<ref>Pietro Sisto, ''L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia'', pp. 18-20.</ref>
Questa festa tra Ottocento e Novecento ha subito notevoli trasformazioni, sia per quanto riguarda il suo significato più profondo e autentico, sia per quanto riguarda gli stessi protagonisti. Fino alla metà del XIX secolo, il rito consisteva nella messa in scena, nel paese, delle principali attività dei campi, prima fra tutte la zappatura, effettuando dunque una rappresentazione urbana di una realtà contadina rovesciata che poteva avere la sua rivalsa su quella urbana e operaia. Questa tradizione fu soppressa nel 1826 dalle autorità locali poiché il corteo provocava ingenti danni alle strade e alle abitazioni. Successivamente però il rito fu riscoperto e modificato in chiave teatrale: le vanghe, i picconi e le zappe si trasformarono in “oggetti di scena” di legno e la violenza fisica contadina fu sostituita dall’invettiva verbale e dai lamenti satirici.<ref>Pietro Sisto, ''L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia'', pp. 18-20.</ref>


Il cuore della festa è una sfida poetica in dialetto. A partire dalle tre del pomeriggio, gruppi di attori dialettali, i cosiddetti “propagginanti”, in abiti da contadini e arnesi da lavoro, si alternano su un palco e ripercorrono gli eventi dell’anno appena trascorso recitando i famosi ''cippon'', versi satirici in rima contro politici e personaggi noti della città. Si tratta di un rito purificatorio della comunità che, “mettendo in piazza” i misfatti della vita cittadina, attraverso la satira ne denuncia gli aspetti negativi per propiziare un futuro migliore. Alla fine della serata, una giuria proclama il gruppo vincitore: i criteri di valutazione sono satira, padronanza del dialetto, rispetto della tradizione, efficacia dei testi, recitazione ed esecuzione musicale.
Il cuore della festa è una sfida poetica in dialetto. A partire dalle tre del pomeriggio, gruppi di attori dialettali, i cosiddetti “propagginanti”, in abiti da contadini e arnesi da lavoro, si alternano su un palco e ripercorrono gli eventi dell’anno appena trascorso recitando i famosi ''cippon'', versi satirici in rima contro politici e personaggi noti della città. Si tratta di un rito purificatorio della comunità che, “mettendo in piazza” i misfatti della vita cittadina, attraverso la satira ne denuncia gli aspetti negativi per propiziare un futuro migliore. Alla fine della serata, una giuria proclama il gruppo vincitore: i criteri di valutazione sono padronanza del dialetto, rispetto della tradizione, efficacia dei testi, recitazione ed esecuzione musicale.


[[File:Farinella.jpg|miniatura|Farinella, la maschera ufficiale del Carnevale di Putignano]]
[[File:Farinella.jpg|miniatura|Farinella, la maschera ufficiale del Carnevale di Putignano]]
==Farinella==
==Farinella==
Anche il Carnevale di Putignano si caratterizza per la logica del ribaltamento dei ruoli e per l’affermazione rituale del caos e la maschera ne è un elemento particolarmente adatto perché porta con sé ciò che l’uomo non è, ciò che vorrebbe diventare o che è destinato a diventare e dal quale vuole fuggire. Rovesciando dunque la sua condizione normale, la maschera lo pone davanti alla sua alterità, ad altro mondo nel quale può fuggire temporaneamente.  
Anche il Carnevale di Putignano si caratterizza per la logica del ribaltamento dei ruoli e per l’affermazione rituale del caos e la maschera ne è un elemento particolarmente adatto perché porta con sé ciò che l’uomo non è, ciò che vorrebbe diventare o che è destinato a diventare e dal quale vuole fuggire. Rovesciando dunque la sua condizione normale, la maschera lo pone davanti alla sua alterità, ad altro mondo nel quale può fuggire temporaneamente.  
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La maschera simbolo di Putignano e del suo Carnevale, disegnata dal grafico Mimmo Castellano nel 1953, è Farinella: un giullare vestito con un abito arlecchinesco, pantaloncini blu e rossi, colori della città, cappello e scarpe a punta alle quali è appeso un sonaglio. Viene rappresentata nell’atto di saltare con le mani in alto e con il pollice e l’indice uniti come se li stesse per schioccare. Il suo nome deriva dalla Farinella, l’alimento tipico della città, una polvere fine di ceci e orzo essiccati: un cibo povero consumato dai contadini con acqua, vino o olio.
La maschera simbolo di Putignano e del suo Carnevale, disegnata dal grafico Mimmo Castellano nel 1953, è Farinella: un giullare vestito con un abito arlecchinesco, pantaloncini blu e rossi, colori della città, cappello e scarpe a punta alle quali è appeso un sonaglio. Viene rappresentata nell’atto di saltare con le mani in alto e con il pollice e l’indice uniti come se li stesse per schioccare. Il suo nome deriva dalla Farinella, l’alimento tipico della città, una polvere fine di ceci e orzo essiccati: un cibo povero consumato dai contadini con acqua, vino o olio.


Come ogni maschera anche questa si lega ad una leggenda secondo la quale Farinella, contadino e fornaio, avrebbe salvato la città durante le incursioni dei saraceni nel XIV secolo spaventandoli, avendo inscenato un’epidemia di peste. Egli aveva infatti convinto alcuni cittadini a cospargersi il corpo di una polvere bagnata fingendo fossero escrescenze della malattia ed altri a vestirsi con le divise dei trasportatori di malati con cappelli e scarpe a punta adornate da sonagli.<ref>Pietro Sisto, ''L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia'', pp. 39,40.</ref>
Questa maschera si lega ad una leggenda secondo la quale un contadino e fornaio avrebbe salvato la città dai saraceni nel XIV secolo spaventandoli, avendo inscenato un’epidemia di peste. Egli aveva infatti convinto alcuni cittadini a cospargersi il corpo di una polvere bagnata fingendo fossero escrescenze della malattia ed altri a vestirsi con le divise dei trasportatori di malati con cappelli e scarpe a punta adornate da sonagli, da cui prende ispirazione Mimmo Castellano per disegnare Farinella.<ref>Pietro Sisto, ''L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia'', pp. 39,40.</ref>


==Tradizioni==
==Tradizioni==
[[File:Festa dell'orso.jpg|miniatura|Orso di cartapesta che sfila per le strade del centro storico di Putignano]]
[[File:Festa dell'orso.jpg|miniatura|Orso di cartapesta che sfila per le strade del centro storico di Putignano]]
===La Festa dell'Orso===
===La Festa dell'Orso===
La Festa dell’Orso, che si celebra il 2 febbraio, è strettamente collegata al calendario religioso. Il 2 febbraio è infatti il giorno della presentazione di Gesù al tempio e della Purificazione della Vergine, conosciuto anche come Candelora, la festa che celebra la Madonna con la benedizione dei ceri. Tale festività cristiana, nel territorio della Murgia, prende anche il nome di “Festa dell’Orso”. La storia racconta che secoli fa, nella zona, era presente l’orso bruno Marsicano, che trovava, nell’entroterra pugliese, copertura boschiva e incavi rocciosi o grotte dove poter andare in letargo. I comportamenti degli animali erano fondamentali per l’uomo per comprendere aspetti della natura allora incomprensibili al punto che l’animale diventava un essere divino. Secondo la tradizione, il comportamento dell’orso nella fase di letargo decretava o meno la fine dell’inverno, infatti se il 2 febbraio, sfruttando la bella giornata di sole, lo stesso veniva fuori dalla sua tana rifacendosi il pagliaio, ossia il giaciglio caldo, allora l’inverno durava almeno altri 40 giorni, se viceversa, la giornata era piovosa o addirittura con la neve, l’orso, dovendo rimanere nella tana, sanciva la fine dell’inverno. <ref>Pietro Sisto, ''I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà'', p. 29,30</ref>
La Festa dell’Orso, che si celebra il 2 febbraio, è strettamente collegata al calendario religioso. Il 2 febbraio è infatti il giorno della presentazione di Gesù al tempio e della Purificazione della Vergine, conosciuto anche come Candelora, la festa che celebra la Madonna con la benedizione dei ceri. Tale festività cristiana, nel territorio della Murgia, prende anche il nome di “Festa dell’Orso”. Nell'entroterra pugliese era in effetti presente fino all'età moderna l’orso bruno marsicano, che qui trovava copertura boschiva e incavi rocciosi dove poter andare in letargo. Secondo la tradizione, il comportamento dell’orso nella fase di letargo decretava o meno la fine dell’inverno: infatti se il 2 febbraio, sfruttando la bella giornata di sole, lo stesso veniva fuori dalla sua tana rifacendosi il pagliaio, ossia il giaciglio caldo, l’inverno durava almeno altri 40 giorni, se viceversa la giornata era piovosa o addirittura con la neve, l’orso, dovendo rimanere nella tana, sanciva la fine dell’inverno. <ref>Pietro Sisto, ''I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà'', p. 29,30</ref>


L’orso nell’immaginario collettivo assume una connotazione semantica ambivalente, può essere buono e al tempo stesso cattivo e, secondo la tradizione locale, gli si attribuiva il potere magico di prevedere il tempo meteorologico e quindi le sorti della nuova annata. Su queste interpretazioni nasce la “festa dell’orso” nell’ambito dei riti del Carnevale di Putignano; una rappresentazione lirico-teatrale messa in scena, nei vicoli del centro storico, dall’Associazione locale Hybris con circa cinquanta figuranti, danzatori e musicisti che interagiscono con due imponenti orsi realizzati in cartapesta mettendo in scena la caccia all’orso, la cattura, il processo per le sue malefatte, la condanna a morte per concludersi con l’oracolo meteorologico.<ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/la-festa-dell-orso.html </ref>
L’orso nell’immaginario collettivo assume una connotazione semantica ambivalente: può essere buono e al tempo stesso cattivo e, secondo la tradizione locale, gli si attribuisce il potere magico di prevedere il tempo meteorologico e quindi le sorti della nuova annata. Sulla base di queste interpretazioni nasce, negli anni Novanta del Novecento, la “Festa dell’Orso”, una rappresentazione lirico-teatrale messa in scena, nei vicoli del centro storico, dalla Compagnia Teatrale locale Hybris, in cui circa cinquanta figuranti, danzatori e musicisti interagiscono con due imponenti orsi in cartapesta rappresentando la caccia all’orso, la cattura, il processo per le sue malefatte, la condanna a morte per concludersi, poi, con l’oracolo meteorologico.<ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/la-festa-dell-orso.html </ref>


===U ndond'r===
===U ndond'r===
Testimonianze risalenti al XIX Secolo raccontano di piccoli cortei mascherati che salutavano il Carnevale nella speranza di una Quaresima proficua. Questi cortei erano chiamati "U ndond'r". La tradizione, la cui origine risale probabilmente alla nascita stessa del Carnevale putignanese ha radici etimologiche dialettali tradotte come "camminare dondolando" ed è un'altra parte fondamentale della storia e dell'identità cittadina. Fino all'inizio del Novecento, alla fine della sfilata del Martedì Grasso, tutti i cittadini del paese, di qualsiasi ceto e ordine sociale, uscivano di casa per partecipare a questo ultimo corteo capeggiato dal sindaco della città. Ogni cittadino portava con sé uno strumento musicale o un utensile domestico (coperchi, cucchiai, matterelli, mortaio, acciarini) con lo scopo di produrre rumore. L’U ndond’r putignanese fu soppresso dalle autorità a partire dal 1954 poiché, come le Propaggini, produceva disordini e danni per tutta la città. È stato ripristinato negli ultimi anni come U ndond’r dei bambini.<ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/u-ndond-r.html </ref>
Testimonianze risalenti al XIX secolo raccontano di piccoli cortei mascherati che salutavano il Carnevale nella speranza di una Quaresima proficua. Questi cortei, la cui origine risale probabilmente alla nascita stessa del Carnevale putignanese, erano chiamati "U ndond'r", termine dialettale che significa "camminare dondolando". Fino all'inizio del Novecento, alla fine della sfilata del Martedì Grasso, tutti i cittadini del paese, di qualsiasi ceto e ordine sociale, uscivano di casa per partecipare a questo ultimo corteo capeggiato dal sindaco della città. Ogni cittadino portava con sé uno strumento musicale o un utensile domestico (coperchi, cucchiai, matterelli, mortaio, acciarini) con lo scopo di produrre rumore. L’U ndond’r putignanese fu soppresso dalle autorità a partire dal 1954 poiché, come le Propaggini, produceva disordini e danni per tutta la città; è stato ripristinato, intorno ai primi anni 2000, come U ndond’r dei bambini.<ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/u-ndond-r.html </ref>


===I Giovedì del Carnevale===
===I Giovedì del Carnevale===
I Giovedì di Carnevale sono uno degli elementi più caratteristici e peculiari del Carnevale di Putignano perché assenti nel resto d’Italia.  
I Giovedì di Carnevale sono uno degli elementi più caratteristici e peculiari del Carnevale di Putignano.  


Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il quarto giorno della settimana diventava per la comunità di Putignano un espediente per celebrare sé stessa. Ogni Giovedì era ed è dedicato alle invettive verso membri di diversi ceti sociali: monsignori, preti, monache, cattivi (vedovi e vedove), pazzi, donne sposate e cornuti. La tradizione è ovviamente mutata nel tempo.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il quarto giorno della settimana diventava per la comunità di Putignano un espediente per celebrare sé stessa. Ogni giovedì era ed è dedicato alle invettive verso membri di diversi gruppi sociali: monsignori, preti, monache, cattivi (vedovi e vedove), pazzi, donne sposate e cornuti. [[File:Giovedì dei cornuti.jpg|miniatura|L'"Accademia delle Corna" in corteo la mattina del giovedì dei cornuti]]
[[File:Giovedì dei cornuti.jpg|miniatura|L'"Accademia delle Corna" in corteo la mattina del giovedì dei cornuti]]


Durante il Novecento i cittadini mascherati si incontravano negli ''iusi'', i sottani del centro storico, per banchettare ironizzando sulla categoria sociale protagonista di quel giovedì, di solito poco soggetta ai divertimenti e allo svago. Dopo il dileggio si iniziava a danzare: a ogni partecipante veniva data una coccarda colorata e successivamente a ritmo di musica venivano chiamati uno a uno i diversi colori così uomini e donne possessori della coccarda dello stesso colore potevano danzare insieme. Oggi, per motivi di sicurezza, non è più possibile accedere ai sottani, ormai diventati cantine del centro storico, ma i Giovedì continuano ad essere celebrati grazie agli artigiani e ai negozianti che addobbano i loro locali invitando i cittadini a ballare.<ref>Pietro Sisto, ''I giorni della festa. Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà'', pp. 43-45</ref>
La tradizione è però mutata nel tempo. Durante il Novecento, infatti, i cittadini mascherati si incontravano negli ''iusi'', i sottani del centro storico, per banchettare ironizzando sulla categoria sociale protagonista di quel giovedì, di solito poco soggetta ai divertimenti e allo svago. Dopo il dileggio si iniziava a danzare: a ogni partecipante veniva data una coccarda colorata e successivamente a ritmo di musica venivano chiamati uno a uno i diversi colori così uomini e donne possessori della coccarda dello stesso colore potevano danzare insieme. Oggi, per motivi di sicurezza, non è più possibile accedere ai sottani, diventati cantine del centro storico, ma i Giovedì continuano ad essere celebrati grazie agli artigiani e ai negozianti che addobbano i loro locali invitando i cittadini a ballare.<ref>Pietro Sisto, ''I giorni della festa. Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà'', pp. 43-45</ref>


Una delle nuove tradizioni più sentite dalla comunità è la creazione dell'Accademia delle Corna, un'istituzione satirica fondata da uomini sposati (definiti ironicamente i cornuti) che anima il paese nel Giovedì dei Cornuti. Fin dalla prime luci del giorno una comitiva di uomini, i membri dell'“Accademia", vestiti con lunghi mantelli neri, sciarpe rosse e cilindri con lunghe corna di bue in cartapesta, si riuniscono nel ''cornéo'', il loro corteo cittadino, capeggiato da una grande effigie di un bue, anch'esso in cartapesta e accompagnato da lamenti, nenie, canti dalle note dolorose, cori e schiamazzi. Lo scopo è quello di raggiungere "Il Gran Cornuto" o "Cornuto dell'Anno", portarlo, a sua insaputa, nella chiesa sconsacrata di Santo Stefano e lì "incoronarlo" tra note di pizzica e tarantella. Il titolo di "Gran Cornuto" si riferisce a un personaggio locale, di qualsiasi grado, particolarmente furbo, ironico e con spiccate qualità nel suo lavoro.  
Una delle nuove tradizioni più sentite dalla comunità è la creazione dell'Accademia delle Corna, un'istituzione satirica fondata da uomini sposati (definiti ironicamente i cornuti) che anima il paese nel Giovedì dei Cornuti. Fin dalla prime luci del giorno una comitiva di uomini, i membri dell'“Accademia", vestiti con lunghi mantelli neri, sciarpe rosse e cilindri con lunghe corna di bue in cartapesta, si riuniscono nel ''cornéo'', il loro corteo cittadino, capeggiato da una grande effigie di un bue, anch'esso in cartapesta e accompagnato da lamenti, nenie, canti dalle note dolorose, cori e schiamazzi. Lo scopo è quello di raggiungere "Il Gran Cornuto" o "Cornuto dell'Anno", portarlo, a sua insaputa, nella chiesa sconsacrata di Santo Stefano e lì "incoronarlo" tra note di pizzica e tarantella. Il titolo di "Gran Cornuto" si riferisce a un personaggio locale, di qualsiasi grado, particolarmente furbo, ironico e con spiccate qualità nel suo lavoro.  


A partire dal 2012, oltre a personaggi della comunità locale, il titolo è stato conferito a personaggi più illustri come Vittorio Sgarbi, la comica Luciana Littizzetto e il sindaco di Bari Antonio Decaro. Ovviamente in questo caso l'incoronazione è avvenuta a distanza. L'onorificenza si carica di una forte valenza folcloristica in quanto riprende il detto putignanese secondo cui un cornuto è colui che furbamente riesce ad avere successo in ogni ambito.
A partire dal 2012, oltre a personaggi della comunità locale, il titolo è stato conferito a personaggi noti nazionalmente come Vittorio Sgarbi, la comica Luciana Littizzetto e il sindaco di Bari Antonio Decaro. Ovviamente in questo caso l'incoronazione è avvenuta a distanza. L'onorificenza si carica di una forte valenza folcloristica in quanto riprende il detto putignanese secondo cui un cornuto è colui che furbamente riesce ad avere successo in ogni ambito.
 
Durante la serata, nella piazza principale inizia il rito del "Taglio delle Corna": il corteo giunto festante a destinazione monta un piccolo palco sul quale vengono invitati a turno tutti i cittadini e il rito si conclude con il metaforico taglio del palco corneo, una sorta di rito di purificazione.<ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/i-giovedi.html  </ref>
Durante la serata, nella piazza principale inizia il rito del "Taglio delle Corna": il corteo giunto festante a destinazione monta un piccolo palco sul quale vengono invitati a turno tutti i cittadini e il rito si conclude con il metaforico taglio del palco corneo, una sorta di rito di purificazione.<ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/i-giovedi.html  </ref>


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Alla fine del corteo la scultura viene portata in piazza e fatta bruciare. La cenere prodotta, una volta raccolta, viene lanciata sulla gente come avvertimento per l'arrivo della Quaresima e del Mercoledì delle Ceneri. Il sacrificio viene scandito da 365 rintocchi di campana che per un'ora risuonano per tutta la città. Anche questi rintocchi diventano ricordi di antiche tradizioni. Fino a metà dell'Ottocento infatti, un'ora prima della mezzanotte, la campana della chiesa del paese suonava 365 volte, una per ogni giorno dell'anno.
Alla fine del corteo la scultura viene portata in piazza e fatta bruciare. La cenere prodotta, una volta raccolta, viene lanciata sulla gente come avvertimento per l'arrivo della Quaresima e del Mercoledì delle Ceneri. Il sacrificio viene scandito da 365 rintocchi di campana che per un'ora risuonano per tutta la città. Anche questi rintocchi diventano ricordi di antiche tradizioni. Fino a metà dell'Ottocento infatti, un'ora prima della mezzanotte, la campana della chiesa del paese suonava 365 volte, una per ogni giorno dell'anno.


Oggi la vecchia campana non esiste più, ma ogni anno una campana di cartapesta viene montata in piazza e inneggiata dai cittadini che salutano il Carnevale appena morto e si preparano al periodo di penitenza mangiando maccheroni. <ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/funerale-del-carnevale.html </ref>
Oggi la vecchia campana non esiste più, ma ogni anno una campana di cartapesta viene montata in piazza e inneggiata dai cittadini che salutano il Carnevale appena morto e si preparano al periodo di penitenza mangiando maccheroni; da questa tradizione prende il nome la Campana dei Maccheroni. <ref> https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/funerale-del-carnevale.html </ref>


==Note==
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Versione attuale delle 11:44, 19 gen 2024

Il Carnevale di Putignano, cittadina situata a sud della città metropolitana di Bari, è uno dei Carnevali più conosciuti d’Italia e uno dei più antichi d’Europa. Nato nel 1394, ha celebrato nel 2023 la sua 629esima edizione.

Il Carnevale inizia il 26 dicembre, giorno dedicato a Santo Stefano, patrono del paese, e al rito delle Propaggini, e si conclude il Martedì Grasso, giorno che precede l’inizio della Quaresima: questo lo rende uno dei Carnevali di maggior lunghezza d'Europa. Durante questo arco di tempo si tengono numerosi festeggiamenti; i più noti sono le sfilate dei carri di cartapesta. La maschera ufficiale è Farinella.

Carro vincitore dell'edizione del 2019, realizzato dal maestro Deni Bianco

Storia[modifica]

Il Carnevale di Putignano inizia il 26 dicembre: questo lo differenzia dagli altri Carnevali italiani che tradizionalmente spesso cominciano il 17 gennaio, giorno di grande importanza per la società contadina poiché dedicato a Sant’Antonio, protettore degli animali. La macellazione degli animali era, in un’ottica religiosa, una liberazione dal male data la loro associazione simbolica con il demonio e con il peccato, mentre, in un’ottica contadina, era una necessità poiché fonte di carne abbondante e grassa. Queste macellazioni, alla base di tradizioni carnevalesche odierne come cortei e mascherate, portavano già in sé i semi di una interdipendenza tra sacro e profano.[1]

Gruppi mascherati sfilano precedendo i carri allegorici

Secondo una tradizione locale, il Carnevale di Putignano risale all’anno 1394. Inizialmente, era fatto di riti violenti e gesti molto forti non solo sul piano simbolico-allusivo, ma anche su quello fisico tanto da spingere le autorità competenti a emanare bandi e regolamenti per mettere un freno a violenze di ogni genere compiute da singoli individui o gruppi mascherati; violenze che spesso consistevano nel lancio di oggetti pesanti e pericolosi che variavano a seconda della classe sociale cui appartenevano i protagonisti delle mascherate. Questo Carnevale, che si rivelava sempre più violento e aggressivo, divenne, a partire dai primi anni del Novecento, più moderno e borghese, impostato sulla realizzazione di grandi carri di cartapesta e con protagonisti non più i contadini, ma la piccola borghesia urbana e gli artigiani. Si ha quindi una istituzionalizzazione del Carnevale di Putignano che perde in parte le sue caratteristiche contadine e arcaiche dal sapore magico e violento.[2]

A caratterizzare il nuovo Carnevale sono i carri allegorici in cartapesta e i gruppi mascherati che sfilano per le strade principali del paese la sera del Martedì Grasso e durante le tre domeniche precedenti. È piuttosto difficile, però, indicare precisamente la data d’inizio dei corsi mascherati. Alcune testimonianze orali raccontano di piccoli “carri allegorici” costruiti da artigiani e contadini a partire da carri agricoli addobbati con paglia e stracci per celebrare piccoli avvenimenti storici.

Nel 1903 il contadino Piero Calisi costruì un treno di legno per celebrare l’arrivo della linea ferroviaria per Locorotondo, paese limitrofo. Nel 1912 una comitiva di maschere scese in strada su un carretto trainato da un asino per celebrare la conquista di Tripoli. Bisognerà aspettare il 1933 per la presenza di ideologie allegoriche e polemiche. Durante quest’anno la città vide sfilare il primo piccolo carro allegorico antiamericano del fabbro Filomeno Pagliarulo. Un bambino vestito in frak e bombetta, simbolo degli USA, sedeva di fianco ad un ragazzo dal volto nero, simbolo dell’emarginazione dei popoli “deboli” rispetto allo strapotere americano.

Il regime fascista fu il punto di snodo dello sviluppo del Carnevale, sia perché durante questo periodo si riscontrò una forte industrializzazione del paese, sia perché i cittadini decisero di scendere per strada in “parata”. Lo stesso concetto di parata fu riportato in auge dal Regime che tentava un controllo tematico delle celebrazioni, mirando a trasformare la sfilata in un'occasione di propaganda politica e militare. Il podestà, posto a capo dell’amministrazione comunale, infatti, stanziava annualmente un montepremi e conferiva encomi alle mascherate che esaltavano il Regime.

Durante questo periodo cominciò a prendere piede la lavorazione della cartapesta. Nel 1936 comparve il carro degli artigiani locali Filippo e Marino Pugliese, una struttura in legno sormontata da un elefante in cartapesta, simbolo del duce e della sua forza durante le imprese coloniali. Tutta la struttura era rinforzata da una rete metallica che le permetteva di essere “cavalcata” da sei persone; per la prima volta, era possibile muovere la proboscide dell’elefante mentre alcuni bambini, nascosti nella pancia, lanciavano coriandoli.[3]

Il primo carro allegorico vero e proprio, Il porco è nostro, fu realizzato nel 1938 dai maestri Rocco Faniuolo e Fedele Dalessandro. Il titolo del carro non solo confermava la centralità dell'animale all’interno del fenomeno carnevalesco ma riprendeva͔ tradizionalmente un vecchio detto che esprimeva la più grande soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo: in questo caso i due artisti esultavano per la conquista del potere da parte dei fascisti.

Classificato al 2° posto nell'edizione del 2021

Durante la Seconda Guerra Mondiale il Carnevale entrò in un periodo di crisi per svilupparsi in modo più ricco e spettacolare a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, parallelamente alla ricrescita economica del Paese. In questo periodo la sfilata diventa il simbolo del Carnevale di Putignano, che entra nella sua fase d’oro. Venne, infatti, introdotta la competizione, in vigore ancora oggi, tra i maestri cartapestai con premi che ammontavano, all’epoca, a 60.000 e 70.000 lire, e tra le maschere di carattere con premi tra le 1000 e le 5000 lire. Da un punto di vista artistico i maestri cartapestai iniziarono ad affinare la tecnica e la cartapesta trionfò come simbolo di questo Carnevale.

Negli anni Cinquanta le tecniche subirono un’ulteriore evoluzione. Nella lavorazione cominciò a essere utilizzata anche l’argilla e cambiò il sistema di locomozione dei carri che, non più tirati a mano o da animali, iniziarono ad essere trainati da camion.

Con l’arrivo nel 1954 della televisione in Italia, il Carnevale cambia ulteriormente forma: la radio lo pubblicizza, la televisione e il cinema ispirano i suoi nuovi protagonisti in cartapesta sempre più mastodontici e scenografici. Gli artisti prendono, adesso, ispirazione anche dai modelli comunicativi culturali. [4]

Tra i soggetti preferiti ci sono “storie” e personaggi tratti dal mondo della televisione, delle favole e di Walt Disney (Topo Gigio, Pinocchio, gli elfi, i pirati e gli indiani e così via), ma anche dalla vita quotidiana, così come viene proposta dai grandi mezzi di comunicazione di massa. A metà degli anni Cinquanta il Carnevale ha terminato il suo processo di «sprovincializzazione» e svecchiamento e ha ottenuto la fama regionale e nazionale che possiede tuttora.[5]

Il rito delle Propaggini[modifica]

La festa delle Propaggini è la manifestazione che dà il via al Carnevale di Putignano. Ogni anno, il 26 dicembre, giorno dedicato a Santo Stefano, una processione porta lungo le vie cittadine le reliquie del martire. Alla fine del corteo il presidente della Fondazione del Carnevale riceve in dono dal sacerdote un cero come richiesta di perdono per tutti i peccati che verranno commessi fino al Mercoledì delle Ceneri.

Un gruppo di "propagginanti" si esibisce sul palco il 26 dicembre

Alla base della tradizione si trova un episodio verificatosi nel 1394, durante gli attacchi saraceni sulle coste adriatiche della penisola. Con lo scopo di salvarle dai saccheggi, i Cavalieri di Malta decisero di traslare le reliquie di Santo Stefano dalla città costiera di Monopoli alla chiesa di Santa Maria la Greca a Putignano, il 26 dicembre. Così, al passaggio del corteo religioso i contadini di Putignano, impegnati nella propagginazione della vite, abbandonarono i campi festeggiando, brindando, innalzando canti in dialetto e versi satirici, facendo così nascere la festa delle Propaggini.

Questa festa tra Ottocento e Novecento ha subito notevoli trasformazioni, sia per quanto riguarda il suo significato più profondo e autentico, sia per quanto riguarda gli stessi protagonisti. Fino alla metà del XIX secolo, il rito consisteva nella messa in scena, nel paese, delle principali attività dei campi, prima fra tutte la zappatura, effettuando dunque una rappresentazione urbana di una realtà contadina rovesciata che poteva avere la sua rivalsa su quella urbana e operaia. Questa tradizione fu soppressa nel 1826 dalle autorità locali poiché il corteo provocava ingenti danni alle strade e alle abitazioni. Successivamente però il rito fu riscoperto e modificato in chiave teatrale: le vanghe, i picconi e le zappe si trasformarono in “oggetti di scena” di legno e la violenza fisica contadina fu sostituita dall’invettiva verbale e dai lamenti satirici.[6]

Il cuore della festa è una sfida poetica in dialetto. A partire dalle tre del pomeriggio, gruppi di attori dialettali, i cosiddetti “propagginanti”, in abiti da contadini e arnesi da lavoro, si alternano su un palco e ripercorrono gli eventi dell’anno appena trascorso recitando i famosi cippon, versi satirici in rima contro politici e personaggi noti della città. Si tratta di un rito purificatorio della comunità che, “mettendo in piazza” i misfatti della vita cittadina, attraverso la satira ne denuncia gli aspetti negativi per propiziare un futuro migliore. Alla fine della serata, una giuria proclama il gruppo vincitore: i criteri di valutazione sono padronanza del dialetto, rispetto della tradizione, efficacia dei testi, recitazione ed esecuzione musicale.

Farinella, la maschera ufficiale del Carnevale di Putignano

Farinella[modifica]

Anche il Carnevale di Putignano si caratterizza per la logica del ribaltamento dei ruoli e per l’affermazione rituale del caos e la maschera ne è un elemento particolarmente adatto perché porta con sé ciò che l’uomo non è, ciò che vorrebbe diventare o che è destinato a diventare e dal quale vuole fuggire. Rovesciando dunque la sua condizione normale, la maschera lo pone davanti alla sua alterità, ad altro mondo nel quale può fuggire temporaneamente.

La maschera simbolo di Putignano e del suo Carnevale, disegnata dal grafico Mimmo Castellano nel 1953, è Farinella: un giullare vestito con un abito arlecchinesco, pantaloncini blu e rossi, colori della città, cappello e scarpe a punta alle quali è appeso un sonaglio. Viene rappresentata nell’atto di saltare con le mani in alto e con il pollice e l’indice uniti come se li stesse per schioccare. Il suo nome deriva dalla Farinella, l’alimento tipico della città, una polvere fine di ceci e orzo essiccati: un cibo povero consumato dai contadini con acqua, vino o olio.

Questa maschera si lega ad una leggenda secondo la quale un contadino e fornaio avrebbe salvato la città dai saraceni nel XIV secolo spaventandoli, avendo inscenato un’epidemia di peste. Egli aveva infatti convinto alcuni cittadini a cospargersi il corpo di una polvere bagnata fingendo fossero escrescenze della malattia ed altri a vestirsi con le divise dei trasportatori di malati con cappelli e scarpe a punta adornate da sonagli, da cui prende ispirazione Mimmo Castellano per disegnare Farinella.[7]

Tradizioni[modifica]

Orso di cartapesta che sfila per le strade del centro storico di Putignano

La Festa dell'Orso[modifica]

La Festa dell’Orso, che si celebra il 2 febbraio, è strettamente collegata al calendario religioso. Il 2 febbraio è infatti il giorno della presentazione di Gesù al tempio e della Purificazione della Vergine, conosciuto anche come Candelora, la festa che celebra la Madonna con la benedizione dei ceri. Tale festività cristiana, nel territorio della Murgia, prende anche il nome di “Festa dell’Orso”. Nell'entroterra pugliese era in effetti presente fino all'età moderna l’orso bruno marsicano, che qui trovava copertura boschiva e incavi rocciosi dove poter andare in letargo. Secondo la tradizione, il comportamento dell’orso nella fase di letargo decretava o meno la fine dell’inverno: infatti se il 2 febbraio, sfruttando la bella giornata di sole, lo stesso veniva fuori dalla sua tana rifacendosi il pagliaio, ossia il giaciglio caldo, l’inverno durava almeno altri 40 giorni, se viceversa la giornata era piovosa o addirittura con la neve, l’orso, dovendo rimanere nella tana, sanciva la fine dell’inverno. [8]

L’orso nell’immaginario collettivo assume una connotazione semantica ambivalente: può essere buono e al tempo stesso cattivo e, secondo la tradizione locale, gli si attribuisce il potere magico di prevedere il tempo meteorologico e quindi le sorti della nuova annata. Sulla base di queste interpretazioni nasce, negli anni Novanta del Novecento, la “Festa dell’Orso”, una rappresentazione lirico-teatrale messa in scena, nei vicoli del centro storico, dalla Compagnia Teatrale locale Hybris, in cui circa cinquanta figuranti, danzatori e musicisti interagiscono con due imponenti orsi in cartapesta rappresentando la caccia all’orso, la cattura, il processo per le sue malefatte, la condanna a morte per concludersi, poi, con l’oracolo meteorologico.[9]

U ndond'r[modifica]

Testimonianze risalenti al XIX secolo raccontano di piccoli cortei mascherati che salutavano il Carnevale nella speranza di una Quaresima proficua. Questi cortei, la cui origine risale probabilmente alla nascita stessa del Carnevale putignanese, erano chiamati "U ndond'r", termine dialettale che significa "camminare dondolando". Fino all'inizio del Novecento, alla fine della sfilata del Martedì Grasso, tutti i cittadini del paese, di qualsiasi ceto e ordine sociale, uscivano di casa per partecipare a questo ultimo corteo capeggiato dal sindaco della città. Ogni cittadino portava con sé uno strumento musicale o un utensile domestico (coperchi, cucchiai, matterelli, mortaio, acciarini) con lo scopo di produrre rumore. L’U ndond’r putignanese fu soppresso dalle autorità a partire dal 1954 poiché, come le Propaggini, produceva disordini e danni per tutta la città; è stato ripristinato, intorno ai primi anni 2000, come U ndond’r dei bambini.[10]

I Giovedì del Carnevale[modifica]

I Giovedì di Carnevale sono uno degli elementi più caratteristici e peculiari del Carnevale di Putignano.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il quarto giorno della settimana diventava per la comunità di Putignano un espediente per celebrare sé stessa. Ogni giovedì era ed è dedicato alle invettive verso membri di diversi gruppi sociali: monsignori, preti, monache, cattivi (vedovi e vedove), pazzi, donne sposate e cornuti.

L'"Accademia delle Corna" in corteo la mattina del giovedì dei cornuti

La tradizione è però mutata nel tempo. Durante il Novecento, infatti, i cittadini mascherati si incontravano negli iusi, i sottani del centro storico, per banchettare ironizzando sulla categoria sociale protagonista di quel giovedì, di solito poco soggetta ai divertimenti e allo svago. Dopo il dileggio si iniziava a danzare: a ogni partecipante veniva data una coccarda colorata e successivamente a ritmo di musica venivano chiamati uno a uno i diversi colori così uomini e donne possessori della coccarda dello stesso colore potevano danzare insieme. Oggi, per motivi di sicurezza, non è più possibile accedere ai sottani, diventati cantine del centro storico, ma i Giovedì continuano ad essere celebrati grazie agli artigiani e ai negozianti che addobbano i loro locali invitando i cittadini a ballare.[11]

Una delle nuove tradizioni più sentite dalla comunità è la creazione dell'Accademia delle Corna, un'istituzione satirica fondata da uomini sposati (definiti ironicamente i cornuti) che anima il paese nel Giovedì dei Cornuti. Fin dalla prime luci del giorno una comitiva di uomini, i membri dell'“Accademia", vestiti con lunghi mantelli neri, sciarpe rosse e cilindri con lunghe corna di bue in cartapesta, si riuniscono nel cornéo, il loro corteo cittadino, capeggiato da una grande effigie di un bue, anch'esso in cartapesta e accompagnato da lamenti, nenie, canti dalle note dolorose, cori e schiamazzi. Lo scopo è quello di raggiungere "Il Gran Cornuto" o "Cornuto dell'Anno", portarlo, a sua insaputa, nella chiesa sconsacrata di Santo Stefano e lì "incoronarlo" tra note di pizzica e tarantella. Il titolo di "Gran Cornuto" si riferisce a un personaggio locale, di qualsiasi grado, particolarmente furbo, ironico e con spiccate qualità nel suo lavoro.

A partire dal 2012, oltre a personaggi della comunità locale, il titolo è stato conferito a personaggi noti nazionalmente come Vittorio Sgarbi, la comica Luciana Littizzetto e il sindaco di Bari Antonio Decaro. Ovviamente in questo caso l'incoronazione è avvenuta a distanza. L'onorificenza si carica di una forte valenza folcloristica in quanto riprende il detto putignanese secondo cui un cornuto è colui che furbamente riesce ad avere successo in ogni ambito.

Durante la serata, nella piazza principale inizia il rito del "Taglio delle Corna": il corteo giunto festante a destinazione monta un piccolo palco sul quale vengono invitati a turno tutti i cittadini e il rito si conclude con il metaforico taglio del palco corneo, una sorta di rito di purificazione.[12]

Il Funerale del Carnevale e la Campana dei Maccheroni[modifica]

Il Funerale del Carnevale

Il Funerale e l’estrema unzione sono la conclusione del Carnevale di Putignano. Dopo l’ultima sfilata di carri allegorici, programmata il Martedì Grasso in orario serale, le strade del centro storico vengono percorse da un corteo capeggiato da una maschera di carattere, la Vedova, una donna che in abiti neri saluta il marito destinato a "morire" e denuncia le malefatte della comunità pronta ora al pentimento della Quaresima. Il corteo è aperto dal caro estinto, un maiale in cartapesta incoronato, disposto su un asse di legno, circondato da fiaschi e piatti. La scultura evidenzia dunque l'iconografia classica del Carnevale/maiale simbolo di eccessi, della baldoria, del peccato, dell'inganno e della gola. [13]

Alla fine del corteo la scultura viene portata in piazza e fatta bruciare. La cenere prodotta, una volta raccolta, viene lanciata sulla gente come avvertimento per l'arrivo della Quaresima e del Mercoledì delle Ceneri. Il sacrificio viene scandito da 365 rintocchi di campana che per un'ora risuonano per tutta la città. Anche questi rintocchi diventano ricordi di antiche tradizioni. Fino a metà dell'Ottocento infatti, un'ora prima della mezzanotte, la campana della chiesa del paese suonava 365 volte, una per ogni giorno dell'anno.

Oggi la vecchia campana non esiste più, ma ogni anno una campana di cartapesta viene montata in piazza e inneggiata dai cittadini che salutano il Carnevale appena morto e si preparano al periodo di penitenza mangiando maccheroni; da questa tradizione prende il nome la Campana dei Maccheroni. [14]

Note[modifica]

  1. Pietro Sisto, I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà, p. 20
  2. Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, p.12.
  3. Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, pp.8-10.
  4. Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, pp.14-19.
  5. Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, p.20
  6. Pietro Sisto, L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia, pp. 18-20.
  7. Pietro Sisto, L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia, pp. 39,40.
  8. Pietro Sisto, I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà, p. 29,30
  9. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/la-festa-dell-orso.html
  10. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/u-ndond-r.html
  11. Pietro Sisto, I giorni della festa. Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà, pp. 43-45
  12. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/i-giovedi.html
  13. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/estrema-unzione.html
  14. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/funerale-del-carnevale.html

Bibliografia[modifica]

  • Pietro Sisto, L' ultima festa: storia e metamorfosi del carnevale in Puglia, Bari, Progedit, 2008.
  • Pietro Sisto, Dalle Propaggini alla Campana dei Maccheroni: il Carnevale di Putignano tra «letteratura», storia e folklore, Putignano (BA), Vito Radio, 1993.
  • Pietro Sisto e Nicola Genco (a cura di), Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, 2013.
  • Pietro Sisto, I giorni della festa. Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà, Bari, Progedit, 2012.
  • https://centrostoricoputignano.it/
  • https://www.carnevalediputignano.it/home/il-carnevale/la-storia/