Alkedo: differenze tra le versioni

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La nave '''Alkedo''' è un relitto di epoca tardoaugustea-tiberiana ritrovato presso il sito delle Navi Romane di Pisa nel corso della campagna di scavo del 1998.  
La nave ''Alkedo'' è un relitto di epoca tardoaugustea-tiberiana ritrovato presso il sito delle Navi Romane di Pisa nel corso della campagna di scavo del 1998. Si tratta di una barca fluviale di grandi dimensioni, concepita per spostamenti veloci; deve il suo nome all'iscrizione «ALKDO» incisa in caratteri greci su una delle panche dei rematori.
Si tratta di una barca fluviale di grandi dimensioni, concepita per spostamenti veloci e che deve il suo nome all'iscrizione «ALKDO» incisa in caratteri greci su una delle panche dei rematori.


==La scoperta della nave e il suo restauro==
==La scoperta della nave e il suo restauro==


La scoperta del sito delle navi romane di Pisa è avvenuta fortuitamente nel 1998 a seguito di un intervento di archeologia preventiva legato alla costruzione della stazione di San Rossore. La fragilità dei reperti della «Pompei del mare», come la definisce la stampa, ha portato all'avvio delle procedure per la conservazione durante lo scavo, nonché all’edificazione di una struttura dedicata nei pressi del sito.
La scoperta delle navi romane di Pisa è avvenuta fortuitamente nel 1998 a seguito di un intervento di archeologia preventiva legato alla costruzione di un fabbricato di controllo della linea ferroviaria Roma-Genova nella stazione di San Rossore. La fragilità dei reperti ha portato all'avvio delle procedure per la conservazione già durante lo scavo, nonché all’edificazione di una struttura dedicata nei pressi del sito.<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', p. 12.</ref>


Al fine di poter efficacemente ospitare e trattare le navi è stato dunque fondato il Centro di Restauro del Legno Bagnato, dove sono state applicate negli anni tecniche sperimentali non ancora standardizzate al momento del rinvenimento, anche a causa della rarità dei reperti. Una svolta nelle modalità di conservazione si è avuta tramite la collaborazione col Laboratorio di Restauro del Rómisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz, grazie alla quale il legno bagnato di alcune delle navi ha iniziato a essere imbevuto con una soluzione a base di Kauramina®, urea, butanediol e trietanolamina, al fine di rendere i reperti lignei più elastici. Dopo il lungo periodo di impregnazione sono necessari un trattamento in forno a 50° e una fase di asciugatura, la pulizia puntuale delle singole parti con pennelli o spazzolini e un più generale lavaggio in acqua demineralizzata. La procedura viene ripetuta su ogni elemento della nave precedentemente smontata e porta a un finale rimontaggio, basato anche sulle informazioni acquisite tramite il 3D Laser Scanner.<ref>Andrea Camilli, ''Pisa. Cantiere delle Navi Romane, Centro di Restauro del Legno Bagnato, Museo delle Navi Antiche: attività 2008'', pp.721-725</ref>
Per ospitare e trattare le navi è stato fondato un Centro di Restauro del Legno Bagnato, dove sono state applicate tecniche sperimentali non ancora standardizzate al momento del rinvenimento, anche a causa della rarità dei reperti. Una svolta nelle modalità di conservazione si è avuta tramite la collaborazione col Laboratorio di Restauro del Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz, grazie alla quale il legno bagnato di alcune delle navi ha iniziato a essere imbevuto con una soluzione a base di Kauramina®, urea, butanediol e trietanolamina, al fine di renderlo più elastico. Al lungo periodo di imbibizione hanno fatto seguito un trattamento in forno a 50° e una fase di asciugatura, una pulizia puntuale con pennelli o spazzolini e un lavaggio esteso in acqua demineralizzata. La procedura è stata ripetuta su ogni elemento della nave precedentemente smontata ed è terminata con un rimontaggio finale, basato anche sulle informazioni acquisite durante lo smontaggio tramite il 3D Laser Scanner.<ref>Andrea Camilli, ''Pisa. Cantiere delle Navi Romane, Centro di Restauro del Legno Bagnato, Museo delle Navi Antiche: attività 2008'', pp. 722-725.</ref>


==Il contesto archeologico e la dinamica del naufragio ==
==Il contesto archeologico e la dinamica del naufragio ==


Il luogo in cui sono state ritrovate le 31 navi è stato interessato da un notevole numero di disastrose alluvioni a partire dal VI secolo a.C. fino al V d.C., fra le quali c’è anche quella di età augustea che causò il naufragio della nave detta Alkedo.  
Il luogo in cui sono state ritrovate le 31 navi fu interessato da un cospicuo numero di disastrose alluvioni a partire dal VI secolo a.C. fino al V d.C. Fra queste alluvioni si annovera quella di età augustea che causò il naufragio della ''Alkedo''.  


Nell'ambito dell’interpretazione storico-archeologica del sito l’ipotesi che viene maggiormente supportata è quella della presenza di un porto diffuso per fini commerciali e non di un vero e proprio porto fluviale della città in epoca romana. La presenza di navi dalle molteplici funzioni e di svariate epoche ritrovate nel contesto pisano rendono tuttavia l’idea di una frequentazione continuativa nonostante le difficoltà legate alle numerose piene dei suoi fiumi. A tale proposito è stata riscontrata la presenza di reperti di pregio nell’abitato etrusco nei pressi del sito a ulteriore conferma dei fiorenti commerci di Pisa col Mediterraneo, già descritti da Strabone e favoriti dalla presenza di due importanti fiumi quali l’Auser, ovvero l’attuale Serchio e l’Arno.  
L'ipotesi prevalente sull'uso del sito in epoca romana è che fosse un porto diffuso per fini commerciali e non un vero e proprio porto fluviale della città. La presenza di navi dalle molteplici funzioni e di svariate epoche fa tuttavia pensare a una frequentazione continuativa nonostante le difficoltà legate alle numerose alluvioni. Nei pressi del sito sono stati ritrovati reperti di pregio pertinenti all'abitato etrusco e probabilmente di importazione corinzia, a ulteriore conferma dei fiorenti commerci di Pisa col Mediterraneo, già descritti da Strabone e favoriti dalla presenza di due importanti fiumi quali l’Auser, ovvero l’attuale Serchio, e l’Arno.<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', p. 19.</ref>


L’interpretazione stratigrafica del contesto archeologico è stata d’altra parte arricchita dal contributo degli studi paleoambientali al fine di ricavare maggiori informazioni sul cambiamento del paesaggio alla confluenza dei due fiumi. Essendo questo aspetto in stretto rapporto con il processo di antropizzazione del sito, si è approfondita la ricerca portando a distinguere lo strato di più antichi depositi fluviali e costieri da quello sabbioso che include le navi del porto romano, a sua volta ricoperto da cinque metri di argille e materiali di riporto medievali e moderni e affiancato da una banchina contenente resti di una palificata etrusca. Gli studi paleoambientali hanno inoltre permesso di distinguere i pollini dei differenti strati, evidenziando per esempio la presenza in Epoca Romana di piante tipiche di un ambiente umido come ontani e querce caducifolie, in accordo con l’ambiente fluviale del porto.<ref> Bruni, ''Il Porto Urbano di Pisa Antica'', pp.103-106</ref>
L’interpretazione stratigrafica del contesto archeologico è stata arricchita dal contributo degli studi paleoambientali che hanno permesso di distinguere lo strato di più antichi depositi fluviali e costieri da quello sabbioso che include le navi del porto romano, a sua volta ricoperto da cinque metri di argille e materiali di riporto medievali e moderni e affiancato da una banchina contenente resti di una palificata etrusca. Gli studi paleoambientali hanno inoltre permesso di distinguere i pollini dei differenti strati, evidenziando la presenza in epoca romana di piante tipiche di un ambiente umido, come ontani e querce caducifoglie, coerentemente con l’ambiente fluviale del porto.<ref> Bruni, ''Il Porto Urbano di Pisa Antica'', pp. 103-107.</ref>


==La struttura e le sue particolarità==
==La struttura dell'imbarcazione e le sue particolarità==


La nave Alkedo risulta avere delle notevoli dimensioni, 12,1 m di lunghezza al galleggiamento e 2,68 m di larghezza totale, fissate in origine con multipli del piede, come è stato frequentemente osservato negli scavi di Nemi e Ostia.  
La nave ''Alkedo'' ha dimensioni notevoli: 12,1 m di lunghezza al galleggiamento e 2,68 m di larghezza totale. Queste dimensioni corrispondono a multipli del piede romano di mm 296,6 (+/-mm 1,1), evidentemente usato come unità di misura per la progettazione, come è stato osservato in diversi altri casi negli scavi di Nemi e Ostia.  


La struttura ha preso forma a partire dalla chiglia in rovere con l'aggiunta delle ruote di poppa, di prua e del fasciame in abete connesso con mortase e tenoni e rinforzato da ordinate in legno di quercia. Al momento della scoperta la nave era ormeggiata con una cima ancora legata a una delle bitte e aveva conservato i bagli, ovvero le assi a cui venivano assicurate le ancore. L'usura della nave, testimoniata da restauri storici del fasciame, ha portato all'uso in antico della pompa di sentina, un meccanismo per lo svuotamento della sentina dall'acqua tramite dischi di legno solitamente adoperato per navi di maggior grandezza.
La struttura della barca ha preso forma a partire dalla chiglia in rovere con l'aggiunta delle ruote di poppa, di prua e del fasciame in abete connesso con mortase e tenoni e ulteriormente rinforzato da ordinate in legno di quercia. Al momento della scoperta la nave era ormeggiata con una cima ancora legata a una delle bitte e aveva conservato i bagli, ovvero le assi a cui venivano assicurate le ancore. L'usura della nave, testimoniata da restauri storici del fasciame, aveva portato all'uso della pompa di sentina, un meccanismo per lo svuotamento della parte inferiore dello scafo dall'acqua tramite dischi di legno solitamente adoperato per navi di maggior grandezza.


La nave ha una disposizione dei banchi tipica delle ''hemioliai'', ovvero ha cinque banchi da due rematori e due mezzi banchi, con un totale di dodici posti per i rematori e ha tuttora integri dei frammenti di cuoio dei manicotti che impedivano il passaggio dell'acqua dai fori dei remi.<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari, ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', pp.48-51</ref> Questi ultimi sono di forma ovale e lasciano intravedere lo scalmo verticale, similmente a quelle della base della ''Nike di Samotracia''.
La nave presenta cinque banchi da due rematori e due mezzi banchi, con un totale di dodici posti per i rematori, una disposizione tipica delle barche dette ''hemioliai''. Conserva tuttora alcuni frammenti del cuoio dei manicotti che impedivano il passaggio dell'acqua dai fori dei remi.<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', pp. 48-51.</ref> Tali aperture sono di forma ovale e lasciano intravedere lo scalmo verticale, similmente a quelle della nave alla base della ''Nike di Samotracia''.
La barca ha inoltre un albero tenuto saldo da sei sartie e che si suppone dovesse sorreggere una vela di forma quadrata di 8 m di larghezza e 4,5 m di altezza, con un pennone di 8,60 m.<ref>Esmeralda Remotti, ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', pp.21-24</ref>
L'albero della barca, tenuto saldo da sei sartie, doveva probabilmente sorreggere una vela di forma quadrata di 8 m di larghezza e 4,5 m di altezza, con un pennone di 8,60 m.<ref>Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa'', pp. 21-24.</ref>


===Ipotesi sulla funzione svolta dalla nave===
===Ipotesi sulla funzione svolta dalla nave===


Alkedo potrebbe sembrare, per il profilo della sua prua, una nave da guerra simile a quelle rappresentate sulla colonna Traiana ma la mancanza di un vero e proprio sperone, sostituito invece da un tagliamare rivestito in bronzo, consente di escludere un uso militare e fa propendere per l'idea di una nave a remi da diporto o di una pilotina. <ref> Esmeralda Remotti, ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', p.24</ref>
''Alkedo'' potrebbe sembrare, per il profilo della sua prua, una nave da guerra simile a quelle rappresentate sulla colonna Traiana. Tuttavia la mancanza di un vero e proprio sperone, sostituito invece da un tagliamare rivestito in bronzo, consente di escludere un uso militare e fa propendere per l'idea di una nave a remi da diporto o di una pilotina.
Non è stato ancora possibile ricondurre il profilo della barca a un tipo già noto di navi minori in uso in epoca romana, come per esempio le ''actuaria'', ''celox'', ''cymba'' e ''cydarum''. Alcuni dei relitti di navi a remi ritrovati per esempio a Monfalcone, Oberstimm, Mainz o la stessa barca F dello scavo pisano, pur non avendo la stessa forma di ''Alkedo'', permettono un confronto per lo studio delle tecniche costruttive.<ref> Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa'', p. 24.</ref>


===Origine del nome della nave===
===Origine del nome===


Il nome Alkedo, inciso sul primo banco dei rematori, è un'ulteriore particolarità della nave in quanto si tratterebbe di una rara attestazione del nome di un'imbarcazione sul relitto stesso e non in sue rappresentazioni come graffiti o mosaici.  
Il nome ''Alkedo'', inciso sul primo banco dei rematori, sembra una rara attestazione del nome di un'imbarcazione sul relitto stesso e non in sue rappresentazioni come graffiti o mosaici.  
Dal punto di vista dell'interpretazione ALK[E]DO è stata riconosciuta come la trascrizione in caratteri greci del termine latino ''alcedo'', ovvero gabbiano, epiteto che sembrerebbe essere molto appropriato per un'imbarcazione. <ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari, ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', pp.52-53</ref>
Dal punto di vista dell'interpretazione ALK[E]DO è la trascrizione in caratteri greci della parola latina ''alcedo'', ovvero 'gabbiano', nome che sembrerebbe essere molto appropriato per un'imbarcazione. <ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', pp. 52-53.</ref>


===Tecniche di datazione del legno===
===Tecniche di datazione del legno===


La tecnica di datazione del legno che è stata scelta per le navi di Pisa è il Wiggle-Matching, una combinazione di studio radiometrico con carbonio-14 e la dendrocronologia. La dendrocronologia si basa sullo studio degli anelli di accrescimento degli alberi ed è stata ritenuta applicabile per l'ottimo stato di conservazione delle imbarcazioni, mentre l'indagine radiometrica misura la radioattività dell'isotopo 14 del carbonio e perette di risalire allla datazione in modo piuttosto accurato. La decisione è stata presa per via dei pochi riferimenti plurimillenari presenti in area mediterranea, al fine di rendere più precisa l'individuazione del periodo storico del relitto.  
La tecnica di datazione del legno usata per le navi di Pisa è il Wiggle-Matching, una combinazione di studio radiometrico con carbonio-14 e dendrocronologia. La dendrocronologia si basa sullo studio degli anelli di accrescimento del tronco degli alberi ed è stata ritenuta applicabile per l'ottimo stato di conservazione delle imbarcazioni, mentre l'indagine radiometrica misura la radioattività dell'isotopo 14 del carbonio e permette di risalire alla datazione in modo relativamente accurato. La scelta di un metodo ibrido è dovuta dalla presenza di pochi riferimenti plurimillenari in area mediterranea per lo studio degli anelli di accrescimento e ha il fine di rendere più precisa l'individuazione del periodo storico a cui appartiene il relitto; i risultati della datazione non sono tuttavia disponibili nelle pubblicazioni del 2005 a cui si è fatto riferimento.  


Il processo seguito per le navi di San Rossore permetterà in seguito di disporre di nuovi riferimenti dendrocronologici messi appunto proprio grazie al Wiggle-Matching.
Il processo seguito per le navi di San Rossore permette di disporre di nuovi riferimenti dendrocronologici messi a punto proprio grazie al Wiggle-Matching, rendendo così possibile datare i relitti con metodi non distruttivi.
<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari, ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', p.81</ref>
<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', p. 81.</ref>


===Tracce di pittura e impermeabilizzazione===
===Tracce di pittura e impermeabilizzazione===


La presenza dell'impermeabilizzazione e di tracce di colore sulla nave ha permesso di studiare le tecniche e i materiali impiegati, confermando ciò che era già noto grazie alle fonti e arricchendolo con ulteriori dettagli. Come era comune in antico l'impermeabilizzazione dello scafo era ottenuta con l'impiego di pece e veniva seguita dal processo di calafataggio, al fine di impedire la presenza di fessure nel fasciame.  
La presenza sulla nave dell'impermeabilizzazione e di tracce di colore ha permesso di studiare le tecniche e i materiali impiegati, confermando ciò che era già noto grazie alle fonti di epoca romana e arricchendolo con ulteriori dettagli. Come era comune in antico, l'impermeabilizzazione dello scafo è stata ottenuta con l'impiego di pece ed è stata seguita dal processo di calafataggio, al fine di sigillare le fessure nel fasciame.  


Secondo ciò che Plinio il Vecchio riporta nella Naturalis Historia, il materiale preferito per la finitura degli scafi con vernice a encausto è la cera d'api unita a pece vegetale, tuttavia nel caso specifico della nave Alkedo si è preferita alla pece la resina al fine di non alterare i colori della pittura, ovvero la cerussite e l'ematite, di colore bianco e rosso. Al momento del rinvenimento le tracce di pittura erano solo parzialmente conservate e buona parte di esse si era scurita a causa del processo di solfurazione in atto nell'ambiente in cui la barca era conservata.<ref>Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', pp.25-26</ref>
Secondo ciò che Plinio il Vecchio riporta nella ''Naturalis Historia'' il materiale preferito per la finitura degli scafi con vernice a encausto era la cera d'api unita a pece vegetale. Tuttavia nel caso della nave ''Alkedo'' si è preferita alla pece la resina al fine di non alterare i colori della pittura, il bianco e il rosso, ottenuti con la cerussite e l'ematite. Al momento del rinvenimento le tracce di pittura erano solo parzialmente conservate e buona parte di esse si era scurita a causa del processo di solfurazione in atto nell'ambiente in cui la barca era conservata.<ref>Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa'', pp. 25-26.</ref>


===La pompa di sentina===
===La pompa di sentina===


La pompa di sentina di cui rimangono i dichi di pompa e lo scasso ovale dove doveva essere alloggiata aveva la funzione di svuotare lo scafo dall'acqua che vi si era infiltrata ed era un accorgimento reso necessario per le condizioni non ottimali del fasciame della barca. I tipi di pompa di sentina ritrovati ad oggi sono due, uno che costituito da una ruota con delle tazze, la noria, e da una pompa a stantuffo in legno che convogliava le acque in tubi in metallo verso gli ombrinali, ovvero i fori di scarico, e l'altro che invece trasporta l'acqua in una vasca di raccoglimento e poi la fa fuoriuscire lateralmente a seconda di come è inclinato lo scafo.
La pompa di sentina, di cui rimangono i dischi di pompa e lo scasso ovale in cui doveva essere alloggiata, aveva la funzione di svuotare lo scafo dall'acqua che vi si infiltrava ed era necessaria per le condizioni non ottimali del fasciame della barca. I tipi di pompa di sentina ritrovati a oggi in area mediterranea sono due, uno costituito da una ruota con tazze, la noria, e da una pompa a stantuffo in legno che convogliava le acque in tubi di metallo verso gli ombrinali, ovvero i fori di scarico, e l'altro che invece trasportava l'acqua in una vasca di raccoglimento e poi la faceva fuoriuscire lateralmente a seconda dell'inclinazione dello scafo.<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', p. 70.</ref>
<ref>Andrea Camilli ed Elisabetta Setari, ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', p.70</ref>


==I reperti rinvenuti a bordo e nei pressi della nave==
==I reperti rinvenuti a bordo e nei pressi della nave==


Il reperto più particolare che si è trovato a bordo della nave Alkedo è un cumulo di fogli di cuoio, rivelatosi poi essere un giaccone in cuoio probabilmente appartenuto a un marinaio. L'ipotesi deriva dall'osservazione del reperto le cui numerose toppe e l'imbottitura sulla «nuca» indicano l'uso da parte di un portuale che dovesse portare pesi sulle spalle piuttosto che da parte di un soldato, anche per la maggiore larghezza della zona del torace rispetto alle maniche, molto scomoda se posta al di sotto di un'armatura.<ref>Andrea Camilli, ''Ricostruzione di un «giaccone» in cuoio di età augustea dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa'', pp.3-8</ref>
Il reperto più raro trovato a bordo della nave ''Alkedo'' è un cumulo di fogli di cuoio, rivelatosi poi essere un giaccone in pelle probabilmente appartenuto a un marinaio. L'ipotesi deriva dall'osservazione del reperto le cui numerose toppe e l'imbottitura sulla «nuca» sembrerebbero indicare l'uso da parte di un portuale che debba portare pesi sulle spalle piuttosto che l'impiego in ambito militare. Spinge a questa interpretazione anche la maggiore abbondanza della stoffa nella zona del torace rispetto a quella delle maniche, decisamente inopportuna per un indumento da indossare al di sotto di un'armatura.<ref>Andrea Camilli, ''Ricostruzione di un «giaccone» in cuoio di età augustea dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa'', pp. 3-8.</ref>


Altri reperti testimonianti la vita di bordo sono i quatto tipi di anfore del I d.C. due delle quali di origine Betica, quindi di Cadice, contenenti costose salse di pesce come il ''garum'' o il ''liquamen'', una di produzione terraconense contenente vino spagnolo e una contenente invece ''sapa'', ovvero vino cotto. Al ritrovamento delle anfore e della giacca di cuoi si aggiunge poi quello degli strumenti di navigazione come le gomene e le corde e una lucerna.  
Altri reperti che testimoniano la vita di bordo sono quattro anfore del I d.C. due delle quali di origine betica, quindi di Cadice, contenenti costose salse di pesce come il ''garum'' o il ''liquamen'', una di produzione terraconense per il trasporto di vino spagnolo e una per la ''sapa'', ovvero per il vino cotto. Sono stati poi ritrovati strumenti di navigazione come le gomene e una lucerna.  
<ref>Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', pp.56-59</ref>
<ref>Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa'', pp. 56-74.</ref>
 
==Confronto con altre imbarcazioni dell'antichità==
 
Come già detto il dibattito sulla funzione della nave rimane aperto in quanto, una volta esclusi confronti con navi militari per la mancanza di un vero  sperone, non è stato ancora possibile ricondurrla a un tipo già noto di navi minori in uso in epoca romana, come per esempio le ''actuaria'', ''celox'', ''cymba'' e ''cydarum''. La catergoria delle barche a remi d'altra parte include alcuni dei relitti ritrovati per esempio a Monfalcone, Oberstimm, Mainz o la stessa barca F dello scavo e tuttavia questi non sono né in grande numero né simili nella forma ma possono ugualmente costituire un appoggio per lo studio delle tecniche costruttive.
 
Le fonti iconografiche di riferimento per il confronto di alcune caratteristiche tecniche del relitto sono tuttavia di notevole importanza, fra queste si annoverano la base della ''Nike di Samotracia'', la colonna Traiana, gli affreschi di Pompei e Roma e i mosaici di Althiburos.<ref> Esmeralda Remotti, ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', p.24</ref>


==Bibliografia==
==Bibliografia==


* Stefano Bruni (a cura di), ''Il Porto Urbano di Pisa Antica: la fase etrusca e il relitto ellenistico'', Cinisello Balsamo MI, SilvanaEditoriale, 2003  
* Stefano Bruni (a cura di), ''Il Porto Urbano di Pisa Antica: la fase etrusca e il relitto ellenistico'', Cinisello Balsamo MI, SilvanaEditoriale, 2003.  
 
* Andrea Camilli, ''Pisa. Cantiere delle Navi Romane, Centro di Restauro del Legno Bagnato, Museo delle Navi Antiche: attività 2008'', «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», 4, 2008 


* Andrea Camilli, ''Le navi antiche di Pisa. Guida all'esposizione'', Pacini Editore, 2022
* Andrea Camilli, ''Pisa. Cantiere delle Navi Romane, Centro di Restauro del Legno Bagnato, Museo delle Navi Antiche: attività 2008'', «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», 4, 2008.


* Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', Milano, Mondadori Electa S.p.a, 2005
* Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), ''Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica'', Milano, Mondadori Electa, 2005.


* Andrea Camilli, ''Ricostruzione di un «giaccone» in cuoio di età augustea dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa'', «Gradus», Anno 11 N.1, 2016, pp.3-8
* Andrea Camilli, ''Ricostruzione di un «giaccone» in cuoio di età augustea dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa'', «Gradus», Anno 11 N.1, 2016.


* Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', Bandecchi e Vivaldi, 2006, pp.721-725
* Esmeralda Remotti (a cura di), ''Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera'', Bandecchi e Vivaldi, 2006.


==Note==
==Note==

Versione attuale delle 11:02, 16 feb 2024

La nave Alkedo è un relitto di epoca tardoaugustea-tiberiana ritrovato presso il sito delle Navi Romane di Pisa nel corso della campagna di scavo del 1998. Si tratta di una barca fluviale di grandi dimensioni, concepita per spostamenti veloci; deve il suo nome all'iscrizione «ALKDO» incisa in caratteri greci su una delle panche dei rematori.

La scoperta della nave e il suo restauro[modifica]

La scoperta delle navi romane di Pisa è avvenuta fortuitamente nel 1998 a seguito di un intervento di archeologia preventiva legato alla costruzione di un fabbricato di controllo della linea ferroviaria Roma-Genova nella stazione di San Rossore. La fragilità dei reperti ha portato all'avvio delle procedure per la conservazione già durante lo scavo, nonché all’edificazione di una struttura dedicata nei pressi del sito.[1]

Per ospitare e trattare le navi è stato fondato un Centro di Restauro del Legno Bagnato, dove sono state applicate tecniche sperimentali non ancora standardizzate al momento del rinvenimento, anche a causa della rarità dei reperti. Una svolta nelle modalità di conservazione si è avuta tramite la collaborazione col Laboratorio di Restauro del Römisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz, grazie alla quale il legno bagnato di alcune delle navi ha iniziato a essere imbevuto con una soluzione a base di Kauramina®, urea, butanediol e trietanolamina, al fine di renderlo più elastico. Al lungo periodo di imbibizione hanno fatto seguito un trattamento in forno a 50° e una fase di asciugatura, una pulizia puntuale con pennelli o spazzolini e un lavaggio esteso in acqua demineralizzata. La procedura è stata ripetuta su ogni elemento della nave precedentemente smontata ed è terminata con un rimontaggio finale, basato anche sulle informazioni acquisite durante lo smontaggio tramite il 3D Laser Scanner.[2]

Il contesto archeologico e la dinamica del naufragio[modifica]

Il luogo in cui sono state ritrovate le 31 navi fu interessato da un cospicuo numero di disastrose alluvioni a partire dal VI secolo a.C. fino al V d.C. Fra queste alluvioni si annovera quella di età augustea che causò il naufragio della Alkedo.

L'ipotesi prevalente sull'uso del sito in epoca romana è che fosse un porto diffuso per fini commerciali e non un vero e proprio porto fluviale della città. La presenza di navi dalle molteplici funzioni e di svariate epoche fa tuttavia pensare a una frequentazione continuativa nonostante le difficoltà legate alle numerose alluvioni. Nei pressi del sito sono stati ritrovati reperti di pregio pertinenti all'abitato etrusco e probabilmente di importazione corinzia, a ulteriore conferma dei fiorenti commerci di Pisa col Mediterraneo, già descritti da Strabone e favoriti dalla presenza di due importanti fiumi quali l’Auser, ovvero l’attuale Serchio, e l’Arno.[3]

L’interpretazione stratigrafica del contesto archeologico è stata arricchita dal contributo degli studi paleoambientali che hanno permesso di distinguere lo strato di più antichi depositi fluviali e costieri da quello sabbioso che include le navi del porto romano, a sua volta ricoperto da cinque metri di argille e materiali di riporto medievali e moderni e affiancato da una banchina contenente resti di una palificata etrusca. Gli studi paleoambientali hanno inoltre permesso di distinguere i pollini dei differenti strati, evidenziando la presenza in epoca romana di piante tipiche di un ambiente umido, come ontani e querce caducifoglie, coerentemente con l’ambiente fluviale del porto.[4]

La struttura dell'imbarcazione e le sue particolarità[modifica]

La nave Alkedo ha dimensioni notevoli: 12,1 m di lunghezza al galleggiamento e 2,68 m di larghezza totale. Queste dimensioni corrispondono a multipli del piede romano di mm 296,6 (+/-mm 1,1), evidentemente usato come unità di misura per la progettazione, come è stato osservato in diversi altri casi negli scavi di Nemi e Ostia.

La struttura della barca ha preso forma a partire dalla chiglia in rovere con l'aggiunta delle ruote di poppa, di prua e del fasciame in abete connesso con mortase e tenoni e ulteriormente rinforzato da ordinate in legno di quercia. Al momento della scoperta la nave era ormeggiata con una cima ancora legata a una delle bitte e aveva conservato i bagli, ovvero le assi a cui venivano assicurate le ancore. L'usura della nave, testimoniata da restauri storici del fasciame, aveva portato all'uso della pompa di sentina, un meccanismo per lo svuotamento della parte inferiore dello scafo dall'acqua tramite dischi di legno solitamente adoperato per navi di maggior grandezza.

La nave presenta cinque banchi da due rematori e due mezzi banchi, con un totale di dodici posti per i rematori, una disposizione tipica delle barche dette hemioliai. Conserva tuttora alcuni frammenti del cuoio dei manicotti che impedivano il passaggio dell'acqua dai fori dei remi.[5] Tali aperture sono di forma ovale e lasciano intravedere lo scalmo verticale, similmente a quelle della nave alla base della Nike di Samotracia. L'albero della barca, tenuto saldo da sei sartie, doveva probabilmente sorreggere una vela di forma quadrata di 8 m di larghezza e 4,5 m di altezza, con un pennone di 8,60 m.[6]

Ipotesi sulla funzione svolta dalla nave[modifica]

Alkedo potrebbe sembrare, per il profilo della sua prua, una nave da guerra simile a quelle rappresentate sulla colonna Traiana. Tuttavia la mancanza di un vero e proprio sperone, sostituito invece da un tagliamare rivestito in bronzo, consente di escludere un uso militare e fa propendere per l'idea di una nave a remi da diporto o di una pilotina.

Non è stato ancora possibile ricondurre il profilo della barca a un tipo già noto di navi minori in uso in epoca romana, come per esempio le actuaria, celox, cymba e cydarum. Alcuni dei relitti di navi a remi ritrovati per esempio a Monfalcone, Oberstimm, Mainz o la stessa barca F dello scavo pisano, pur non avendo la stessa forma di Alkedo, permettono un confronto per lo studio delle tecniche costruttive.[7]

Origine del nome[modifica]

Il nome Alkedo, inciso sul primo banco dei rematori, sembra una rara attestazione del nome di un'imbarcazione sul relitto stesso e non in sue rappresentazioni come graffiti o mosaici. Dal punto di vista dell'interpretazione ALK[E]DO è la trascrizione in caratteri greci della parola latina alcedo, ovvero 'gabbiano', nome che sembrerebbe essere molto appropriato per un'imbarcazione. [8]

Tecniche di datazione del legno[modifica]

La tecnica di datazione del legno usata per le navi di Pisa è il Wiggle-Matching, una combinazione di studio radiometrico con carbonio-14 e dendrocronologia. La dendrocronologia si basa sullo studio degli anelli di accrescimento del tronco degli alberi ed è stata ritenuta applicabile per l'ottimo stato di conservazione delle imbarcazioni, mentre l'indagine radiometrica misura la radioattività dell'isotopo 14 del carbonio e permette di risalire alla datazione in modo relativamente accurato. La scelta di un metodo ibrido è dovuta dalla presenza di pochi riferimenti plurimillenari in area mediterranea per lo studio degli anelli di accrescimento e ha il fine di rendere più precisa l'individuazione del periodo storico a cui appartiene il relitto; i risultati della datazione non sono tuttavia disponibili nelle pubblicazioni del 2005 a cui si è fatto riferimento.

Il processo seguito per le navi di San Rossore permette di disporre di nuovi riferimenti dendrocronologici messi a punto proprio grazie al Wiggle-Matching, rendendo così possibile datare i relitti con metodi non distruttivi. [9]

Tracce di pittura e impermeabilizzazione[modifica]

La presenza sulla nave dell'impermeabilizzazione e di tracce di colore ha permesso di studiare le tecniche e i materiali impiegati, confermando ciò che era già noto grazie alle fonti di epoca romana e arricchendolo con ulteriori dettagli. Come era comune in antico, l'impermeabilizzazione dello scafo è stata ottenuta con l'impiego di pece ed è stata seguita dal processo di calafataggio, al fine di sigillare le fessure nel fasciame.

Secondo ciò che Plinio il Vecchio riporta nella Naturalis Historia il materiale preferito per la finitura degli scafi con vernice a encausto era la cera d'api unita a pece vegetale. Tuttavia nel caso della nave Alkedo si è preferita alla pece la resina al fine di non alterare i colori della pittura, il bianco e il rosso, ottenuti con la cerussite e l'ematite. Al momento del rinvenimento le tracce di pittura erano solo parzialmente conservate e buona parte di esse si era scurita a causa del processo di solfurazione in atto nell'ambiente in cui la barca era conservata.[10]

La pompa di sentina[modifica]

La pompa di sentina, di cui rimangono i dischi di pompa e lo scasso ovale in cui doveva essere alloggiata, aveva la funzione di svuotare lo scafo dall'acqua che vi si infiltrava ed era necessaria per le condizioni non ottimali del fasciame della barca. I tipi di pompa di sentina ritrovati a oggi in area mediterranea sono due, uno costituito da una ruota con tazze, la noria, e da una pompa a stantuffo in legno che convogliava le acque in tubi di metallo verso gli ombrinali, ovvero i fori di scarico, e l'altro che invece trasportava l'acqua in una vasca di raccoglimento e poi la faceva fuoriuscire lateralmente a seconda dell'inclinazione dello scafo.[11]

I reperti rinvenuti a bordo e nei pressi della nave[modifica]

Il reperto più raro trovato a bordo della nave Alkedo è un cumulo di fogli di cuoio, rivelatosi poi essere un giaccone in pelle probabilmente appartenuto a un marinaio. L'ipotesi deriva dall'osservazione del reperto le cui numerose toppe e l'imbottitura sulla «nuca» sembrerebbero indicare l'uso da parte di un portuale che debba portare pesi sulle spalle piuttosto che l'impiego in ambito militare. Spinge a questa interpretazione anche la maggiore abbondanza della stoffa nella zona del torace rispetto a quella delle maniche, decisamente inopportuna per un indumento da indossare al di sotto di un'armatura.[12]

Altri reperti che testimoniano la vita di bordo sono quattro anfore del I d.C. due delle quali di origine betica, quindi di Cadice, contenenti costose salse di pesce come il garum o il liquamen, una di produzione terraconense per il trasporto di vino spagnolo e una per la sapa, ovvero per il vino cotto. Sono stati poi ritrovati strumenti di navigazione come le gomene e una lucerna. [13]

Bibliografia[modifica]

  • Stefano Bruni (a cura di), Il Porto Urbano di Pisa Antica: la fase etrusca e il relitto ellenistico, Cinisello Balsamo MI, SilvanaEditoriale, 2003.
  • Andrea Camilli, Pisa. Cantiere delle Navi Romane, Centro di Restauro del Legno Bagnato, Museo delle Navi Antiche: attività 2008, «Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana», 4, 2008.
  • Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, Milano, Mondadori Electa, 2005.
  • Andrea Camilli, Ricostruzione di un «giaccone» in cuoio di età augustea dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa, «Gradus», Anno 11 N.1, 2016.
  • Esmeralda Remotti (a cura di), Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi, 2006.

Note[modifica]

  1. Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, p. 12.
  2. Andrea Camilli, Pisa. Cantiere delle Navi Romane, Centro di Restauro del Legno Bagnato, Museo delle Navi Antiche: attività 2008, pp. 722-725.
  3. Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, p. 19.
  4. Bruni, Il Porto Urbano di Pisa Antica, pp. 103-107.
  5. Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, pp. 48-51.
  6. Esmeralda Remotti (a cura di), Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, pp. 21-24.
  7. Esmeralda Remotti (a cura di), Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, p. 24.
  8. Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, pp. 52-53.
  9. Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, p. 81.
  10. Esmeralda Remotti (a cura di), Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, pp. 25-26.
  11. Andrea Camilli ed Elisabetta Setari (a cura di), Le navi antiche di Pisa. Guida archeologica, p. 70.
  12. Andrea Camilli, Ricostruzione di un «giaccone» in cuoio di età augustea dal Cantiere delle Navi Antiche di Pisa, pp. 3-8.
  13. Esmeralda Remotti (a cura di), Alkedo. Navi e commerci della Pisa romana, Catalogo della mostra di Pisa, pp. 56-74.