Policoro: differenze tra le versioni
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===Il bosco Pantano=== | ===Il bosco Pantano=== | ||
Nel 1999 viene istituita la Riserva Naturale Orientata «Bosco Pantano di Policoro»: un’area di circa 1000 ettari considerata di grande valore naturalistico, scientifico, paesaggistico e faunistico. Il bosco Pantano è una testimonianza della vasta foresta planiziale che un tempo ricopriva gran parte della costa ionica. Il bosco è ciò che rimane dei due complessi preesistenti del «Bosco Pantano Soprano» e del «Bosco Pantano Sottano». La riduzione dell’area boschiva è il risultato del forte intervento antropico che ha interessato la zona con bonifiche e intensi disboscamenti nell’ambito, soprattutto, della «Riforma Fondiaria» degli anni Cinquanta del Novecento. Anche oggi la riserva è interessata da gravi problemi causati dall’uomo, quali erosione costiera, abusivismo edilizio, danni da transito di veicoli motorizzati e pesca a strascico. Anche l’entrata in funzione, nel 1983, della diga di Monte Cotugno <ref>La diga di Monte Cotugno, nel territorio del comune di Senise (PZ) è la diga in terra battuta più grande d’Europa. Costruita dal 1970 al 1982, sbarra il corso del fiume Sinni e l’acqua che raccoglie è utilizzata a scopo potabile, irriguo e industriale in Basilicata e Puglia (Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale, Sede della Basilicata, ''[http://www.adb.basilicata.it/adb/risorseidriche/invaso.asp?invaso=MCotugno Invaso di Monte Cotugno]''</ref> sul Sinni ha modificato sensibilmente il bosco e l’area circostante, in termini di arretramento della linea di costa e di perdita di zone acquitrinose permanenti che oggi sono rare e momentanee. <ref>Sabato, Longhitano, Cilumbriello, 2014, ''«Introduzione e inquadramento generale»'' e ''«Esempi significativi di pressioni, minacce, criticità e impatti»''</ref> | Nel 1999 viene istituita la Riserva Naturale Orientata «Bosco Pantano di Policoro»: un’area di circa 1000 ettari considerata di grande valore naturalistico, scientifico, paesaggistico e faunistico. Il bosco Pantano è una testimonianza della vasta foresta planiziale che un tempo ricopriva gran parte della costa ionica. Il bosco è ciò che rimane dei due complessi preesistenti del «Bosco Pantano Soprano» e del «Bosco Pantano Sottano». La riduzione dell’area boschiva è il risultato del forte intervento antropico che ha interessato la zona con bonifiche e intensi disboscamenti nell’ambito, soprattutto, della «Riforma Fondiaria» degli anni Cinquanta del Novecento. Anche oggi la riserva è interessata da gravi problemi causati dall’uomo, quali erosione costiera, abusivismo edilizio, danni da transito di veicoli motorizzati e pesca a strascico. Anche l’entrata in funzione, nel 1983, della diga di Monte Cotugno <ref>La diga di Monte Cotugno, nel territorio del comune di Senise (PZ) è la diga in terra battuta più grande d’Europa. Costruita dal 1970 al 1982, sbarra il corso del fiume Sinni e l’acqua che raccoglie è utilizzata a scopo potabile, irriguo e industriale in Basilicata e Puglia (Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale, Sede della Basilicata, ''[http://www.adb.basilicata.it/adb/risorseidriche/invaso.asp?invaso=MCotugno Invaso di Monte Cotugno]''</ref> sul Sinni ha modificato sensibilmente il bosco e l’area circostante, in termini di arretramento della linea di costa e di perdita di zone acquitrinose permanenti che oggi sono rare e momentanee. <ref>Sabato, Longhitano, Cilumbriello, 2014, ''«Introduzione e inquadramento generale»'' e ''«Esempi significativi di pressioni, minacce, criticità e impatti»''</ref> | ||
La riserva è particolarmente ricca dal punto di vista botanico e faunistico, principalmente per la compresenza di aree umide, boschive, dunali, del fiume e del mare. | |||
Per quanto riguarda la fascia boschiva, la Riserva è costituita principalmente da frassini, ontani e pioppi. Nella zona dunale più a ridosso del mare, invece, è possibile trovare giuncheti, tamerici, rosmarino, mirto, cisto di Montpellier e Pino D’Aleppo e in generale vegetazione tipica della macchia mediterranea. Di seguito un breve elenco di alcune specie animali presenti nella riserva: rospi, rane, serpenti (vipere e bisce), merli, fringuelli, scriccioli, tortore, cuculi, capinere, anatre, aironi, ghiandaie, rondini, gabbiani, poiane, falchi, allocchi, volpi (che, tra i predatori, sono gli animali presenti in maggior quantità), ricci, lontre, talpe, cinghiali, caprioli e tartarughe. Queste ultime regolarmente depongono sulle spiagge di Policoro. Alla salvaguardia della ricca biodiversità della Riserva, specie quella animale, si dedica l’«Oasi del WWF Policoro-''Herakleia''». Le attività dell’Oasi si concentrano soprattutto sul recupero, sulla cura e sulla successiva liberazione di animali feriti o in difficoltà, con particolare attenzione alle tartarughe e alla difesa dei loro siti di deposizione <ref>WWF, ''[https://www.wwf.it/dove-interveniamo/il-nostro-lavoro-in-italia/oasi/oasi-policoro/ Oasi Policoro-Herakleia]'')</ref>. <ref>De Capua, 2017, p. 48-65 e 73-83</ref> | |||
==Economia e società== | ==Economia e società== |
Versione delle 17:53, 27 dic 2023
Policoro è un comune italiano in provincia di Matera, in Basilicata. Conta 17.729 abitanti [1].
Storia
Greci e Romani
La prima traccia della civiltà greca che si può riscontrare sul territorio di Policoro è costituita dalla ricca e fiorente città di Siris. Secondo Strabone i troiani fondarono la colonia di Siris attorno all’VIII/VII sec. a.C. sulle rive dell’omonimo fiume (oggi Sinni). Tale teoria è supportata da alcuni reperti archeologici ritrovati sulla collina dove oggi sorge il castello di Policoro, databili proprio tra la fine dell’VIII e l’inizio del VII sec. a.C. [2]. La colonia troiana fu poi occupata dai Chonii, una popolazione autoctona, e poi tra il 660 e il 650 a.C. fu approdo dei Colofonii, provenienti dalla Ionia. Siris prosperò fino alla distruzione pressoché completa da parte della coalizione formata dalle colonie achee di Sibari, Crotone e Metaponto. La caduta della città risale circa alla metà del VI secolo a.C.
Nel 433/432 a.C., a circa 4 chilometri dalle rovine dell’antica città di Siris, tra i fiumi Akiris e Siris (oggi Agri e Sinni), i Tarantini fondarono Heraclea, dedicandola all’eroe Eracle, o Ercole. La polis occupava un'area di circa 140 ettari e comprendeva numerose strutture abitative ed edifici pubblici, tra cui il santuario di Dioniso e quello di Demetra, nonché un’importante via di comunicazione che attraversava da nord a sud il territorio della città [3]. Attorno al 330 a.C. Heraclea divenne indipendente da Taranto [4]. Nel 280 a.C. Heraclea fu il teatro di una battaglia tra Taranto e Roma [5]. La battaglia fu vinta dai tarantini che, tuttavia, otto anni dopo, furono sconfitti. Con la caduta della più grande e importante città della Magna Grecia ionica, anche gli altri centri della costa andarono incontro a un rapido declino. Le poleis furono incapaci di far fronte allo straripamento dei fiumi e alla conseguente formazione di stagni e di acquitrini che, col passare del tempo, diedero vita a vere e proprie paludi. Tutto ciò contribuì alla diffusione della malaria e allo spopolamento dell’intera zona. [6]
Le tavole di Heraclea
Le tavole di Heraclea, risalenti al IV sec. a.C., sono leggi con cui il governo della città dispone la nuova divisione e redistribuzione di due terreni sacri. Tali provvedimenti si resero necessari a causa della lunga occupazione di quei terreni da parte di membri molto influenti dell’aristocrazia cittadina. La prima tavola contiene su una facciata un testo in greco relativo alle «terre di Dioniso» e, sul retro, un testo in latino di molto successivo con un frammento di una legge romana, forse la Lex Iulia Municipalis. Ciò lascia pensare all’esistenza di un’altra tavola greca poi riutilizzata dai romani per la restante parte della disposizione. La seconda tavola, iscritta solo su una facciata, presenta testo, in greco, relativo alle «terre di Atena». Le tavole scandiscono il passaggio della città da una fase oligarchica a una più democratica, in cui l’assemblea esercita i propri diritti e doveri nell’interesse del demos. Le «tavole di Heraclea», rappresentano, di fatto, la prima riforma agraria delle due che interesseranno, a distanza di secoli l’una dall’altra, il territorio di Policoro [7]. [8] Oggi le «tavole di Heraclea» sono conservate presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli.
Dal Medioevo all'Ottocento
Il rapido processo di spopolamento dovuto al proliferare della malaria ha fatto sì che su Heraclea fonti storiche e letterarie abbiano taciuto per secoli. In età bizantina (968-1050) venne edificata una nuova città, Pollicorum, nella zona dell’acropoli dell’antica Heraclea. Il toponimo, che deriva dal greco, significa «luogo molto spazioso». Nel nuovo feudo sorgevano una borgata, una chiesa e un monastero gestito dai basilani. Dal Trecento al Settecento il feudo fu sotto il controllo dei Sanseverino, una potente famiglia nobiliare napoletana. Successivamente fu donato ai gesuiti, i quali, nel 1772, anno di espulsione dell’ordine dal Regno delle due Sicilie, ne subirono l’esproprio. Il monastero fu ampliato e trasformato in un castello per volere della principessa Maria Grimaldi di Gerace, che aveva acquistato all’asta il feudo di Policoro nel 1791. Nel 1870 un Regio Decreto rese Policoro una frazione del comune di Montalbano Ionico. Infine, nel 1893 il feudo e il castello furono venduti al barone Luigi Berlingieri di Crotone. L’economia del feudo si basava sull’agricoltura, sulla caccia e su una fabbrica di liquirizia. Nonostante il riconoscimento pressoché unanime da parte di autorità regionali e statali e intellettuali locali del problema delle paludi, pochi o nulli erano stati gli sforzi fatti per debellare la malaria: furono molti, infatti, i lavoratori che ne caddero vittime. [9]
Novecento e «Riforma fondiaria»
All’inizio del Novecento «Policoro era un immenso feudo baronale ostile alla vita ed alle attività dell’uomo per la malaria, gli acquitrini, la mancanza di strade e mille difficoltà» (Valicenti in Amministrazione comunale di Policoro (a cura di), Policoro 1959-1969, Dieci anni di autonomia comunale, Matino, 1969, p.119). Su spinta di alcuni illustri meridionalisti lucani, tra cui Giustino Fortunato, Francesco Saverio Nitti ed Ettore Ciccotti i governi del Regno d’Italia (in particolare quello di Zanardelli e il successivo di Giolitti) avviarono nel metapontino un primo processo di bonifica e sviluppo che, tuttavia, si rivelò fallimentare: nel 1911 i fondi erano esauriti e i pochi interventi realizzati si rivelarono insufficienti.
Nel 1925 fu costituito il «Consorzio di Bonifica del Metapontino» allo scopo di mettere in pratica sulla costa ionica lucana una «bonifica integrale», secondo il modello fascista già sperimentato nelle pianure del nord e del litorale laziale. I progetti, dunque, non si limitavano solo al drenaggio delle paludi ma prevedevano anche la costruzione di infrastrutture, strade e sistemi d’irrigazione. Uno dei pochi interventi realizzati fu la costruzione della strada «Litoranea ionica»: anche il tentativo fascista di riqualificazione del metapontino si rivelò un fallimento.
Il secondo dopoguerra, con gli aiuti statunitensi del «Piano Marshall» e la nascita della Repubblica, ha rappresentato un punto di svolta per le speranze di quanti invocavano una riforma agraria nel metapontino. Le condizioni di estrema povertà, le profondissime spaccature tra latifondisti e lavoratori agricoli, le sofferenze della popolazione piegata dalla guerra, sono alcune delle cause che portarono, tra il 1943 e i primi anni Cinquanta a sempre più frequenti occupazioni delle terre da parte dei contadini. Le occupazioni, inizialmente spontanee, poi coordinate da associazioni e sindacati, portarono all’attenzione del governo la necessità e l’urgenza di una riforma agraria nel Mezzogiorno. Nel 1950 il governo De Gasperi avvia il più grande e organico processo di riforma agraria dell’Italia meridionale: istituisce la «Cassa per il Mezzogiorno» allo scopo di finanziare iniziative per lo sviluppo del Sud, individua le zone da riqualificare, rifinanzia o crea enti specifici finalizzati all’attuazione dei piani di bonifica e avvia gli espropri dei latifondi, corrispondendo ai proprietari un indennizzo. La lottizzazione e la redistribuzione delle terre avvennero negli anni seguenti, favorendo famiglie a basso reddito: l’assegnatario comprava la terra a rate da pagare in trent’anni; successivamente era sottoposto a un periodo di prova di tre anni in cui doveva dimostrare di essere capace di gestire il podere e di trarne profitto.
Il paesaggio del metapontino cambiò in modo importante a causa della riforma: da boschivo, monotono, inospitale, paludoso e umidissimo, il metapontino divenne curato, ordinato. Furono costruite strade di servizio rettilinee, parallele alla litoranea e alla ferrovia; furono tracciati campi regolari, rettangolari. Insieme al campo le famiglie erano assegnatarie di una casa colonica. Furono costruite alcune dighe e numerosi canali per sfruttare l’acqua dei fiumi per l’irrigazione [10], e 250 chilometri di strade. Il territorio fu dotato di servizi primari e non: fornitura di acqua potabile, illuminazione, scuole, assistenza sanitaria, banche, sedi di partiti politici. [11]
A Policoro la «Riforma fondiaria» inizialmente creò, sui 5625 ettari espropriati ai Berlingieri, 700 poderi tra i 3 e i 5 ettari. Verso la fine degli anni Cinquanta fu portato a termine il disboscamento di circa 1000 ettari di bosco, al fine di ricavare nuovi poderi e campi coltivabili: simili interventi sul bosco furono accompagnati da non poche polemiche. Le famiglie assegnatarie provenivano principalmente da località limitrofe, soprattutto da Montalbano Ionico (comune del quale, tra l’altro, Policoro era ancora una frazione) e dal resto della provincia di Matera, ma anche dal potentino e da Puglia e Calabria. Nel 1953 iniziò la costruzione della «Borgata dei servizi», o «Borgata nuova». Costruita accanto alla «Borgata vecchia», ovvero la zona dei casalini, le casette sottostanti al castello dove alloggiavano i lavoratori al servizio dei baroni, la «Borgata nuova» ha il proprio cuore in «Piazza Heraclea», ancora oggi punto nevralgico di Policoro. La borgata era costituita da edifici che ospitavano servizi essenziali per la comunità: scuole, asili, la delegazione comunale, l’ufficio postale, l’ambulatorio, magazzini, depositi e uffici di assistenza per le famiglie, la comunità e i lavoratori agricoli. Ecco, quindi, che Policoro, grazie alla sua posizione baricentrica sulla piana di Metaponto, riconquista quel tratto importante che era stato di Heraclea: diventa punto di riferimento per l’intero circondario, per tutto il metapontino. [12] Ulteriore impulso all’economia di Policoro fu dato dalla costruzione e dall’apertura, nel 1955, dello zuccherificio, che dava lavoro, considerando anche l’indotto, a circa 400 persone. L’impianto fu chiuso nel 1991. Nel 1959 Policoro diventò un comune autonomo, con una popolazione di circa 4000 persone. Il numero degli abitanti continuò a crescere con un tasso medio che si attestava sul 5%. Per far fronte a un incremento demografico così costante il neonato comune dovette costruire nuovi edifici residenziali, dando via ad un’espansione che è ancora in corso. Lo sviluppo sociale ed economico di Policoro fu rapido e costante: nel 1967 fu istituito il Liceo Scientifico «Enrico Fermi», all’epoca l’unico della zona, e due anni dopo fu inaugurato il «Museo Nazionale della Siritide»; nel 1970 viene aperto l’ospedale civile, a servizio del metapontino, dei comuni dell’entroterra e di quelli limitrofi della Calabria. Contestualmente le Amministrazioni comunali si impegnarono nello sviluppo del Lido con la costruzione di zone residenziali, impianti alberghieri, campeggi e stabilimenti balneari; nel 2011 sono stati inaugurati il porto turistico e il resort lagunare di «Marinagri» [13]. Nel 1988 al comune di Policoro venne conferito il titolo di «Città». Nel 2010, infine, è stato inaugurato il «Centro Commerciale Heraclea»: l’unico polo commerciale del metapontino e uno dei più grandi della Basilicata [14], con un bacino d’utenza di circa 75.000 persone [15]. [16]
Territorio
Policoro sorge al centro della Piana di Metaponto, che è di origine alluvionale ed è l’unica pianura lucana di una certa rilevanza. Il territorio di Policoro è delimitato da due fiumi, l’Agri a nord e il Sinni a sud, dal mar Ionio a est e da una zona collinare a ovest. [17]
Il bosco Pantano
Nel 1999 viene istituita la Riserva Naturale Orientata «Bosco Pantano di Policoro»: un’area di circa 1000 ettari considerata di grande valore naturalistico, scientifico, paesaggistico e faunistico. Il bosco Pantano è una testimonianza della vasta foresta planiziale che un tempo ricopriva gran parte della costa ionica. Il bosco è ciò che rimane dei due complessi preesistenti del «Bosco Pantano Soprano» e del «Bosco Pantano Sottano». La riduzione dell’area boschiva è il risultato del forte intervento antropico che ha interessato la zona con bonifiche e intensi disboscamenti nell’ambito, soprattutto, della «Riforma Fondiaria» degli anni Cinquanta del Novecento. Anche oggi la riserva è interessata da gravi problemi causati dall’uomo, quali erosione costiera, abusivismo edilizio, danni da transito di veicoli motorizzati e pesca a strascico. Anche l’entrata in funzione, nel 1983, della diga di Monte Cotugno [18] sul Sinni ha modificato sensibilmente il bosco e l’area circostante, in termini di arretramento della linea di costa e di perdita di zone acquitrinose permanenti che oggi sono rare e momentanee. [19]
La riserva è particolarmente ricca dal punto di vista botanico e faunistico, principalmente per la compresenza di aree umide, boschive, dunali, del fiume e del mare. Per quanto riguarda la fascia boschiva, la Riserva è costituita principalmente da frassini, ontani e pioppi. Nella zona dunale più a ridosso del mare, invece, è possibile trovare giuncheti, tamerici, rosmarino, mirto, cisto di Montpellier e Pino D’Aleppo e in generale vegetazione tipica della macchia mediterranea. Di seguito un breve elenco di alcune specie animali presenti nella riserva: rospi, rane, serpenti (vipere e bisce), merli, fringuelli, scriccioli, tortore, cuculi, capinere, anatre, aironi, ghiandaie, rondini, gabbiani, poiane, falchi, allocchi, volpi (che, tra i predatori, sono gli animali presenti in maggior quantità), ricci, lontre, talpe, cinghiali, caprioli e tartarughe. Queste ultime regolarmente depongono sulle spiagge di Policoro. Alla salvaguardia della ricca biodiversità della Riserva, specie quella animale, si dedica l’«Oasi del WWF Policoro-Herakleia». Le attività dell’Oasi si concentrano soprattutto sul recupero, sulla cura e sulla successiva liberazione di animali feriti o in difficoltà, con particolare attenzione alle tartarughe e alla difesa dei loro siti di deposizione [20]. [21]
Economia e società
Luoghi d'interesse
Il mare
Il castello
Piazza Heraclea
Il museo
Sviluppi e prospettive future
Note
- ↑ Istat, Bilancio demografico mensile e popolazione residente per sesso, anno 2023, dati al 30 ottobre 2023
- ↑ Gli scavi di Siris e di Heraclea furono promossi dalla Soprintendenza Archeologia della Basilicata a partire dall’anno della sua istituzione, il 1964. Il primo soprintendente fu l’archeologo romeno Dinu Adamesteanu (Toporu, 25 marzo 1913 - Policoro, 21 gennaio 2004), pioniere dell’aerofotografia in campo archeologico. A lui si deve anche la costruzione e l’apertura del Museo Archeologico Nazionale della Siritide di Policoro, nel 1969 (Liliana Giardino, Omaggio a Dinu Adamesteanu, «Archeologia aerea», I, 2004, p. 20-21)
- ↑ Il percorso di allora è stato ricalcato dal cosiddetto Regio Tratturo e, più recentemente, dalla strada statale 106 Ionica (Percoco, 2010, p. 94)
- ↑ L’indipendenza di Heraclea è testimoniata dal fatto che la città inizia a battere moneta: si tratta di monete in bronzo con l’effige di Ercole che lotta contro il leone di Nemea. La prima delle dodici fatiche di Ercole è ricordata e rappresentata sullo stemma del Comune di Policoro (Percoco, 2010, p.94)
- ↑ La battaglia di Heraclea del 280 a.C. fu un importante scontro nell’ambito delle guerre pirriche. Dal suo epilogo, favorevole a Pirro ma a fronte di grosse perdite, proviene il modo di dire “Vittoria di Pirro” «che indica che il successo ottenuto da una impresa ha comportato sforzi e/o perdite sproporzionate rispetto al successo stesso.» (Rosa Piro, La vittoria di Pirro, «Treccani magazine», 18 febbraio 2022
- ↑ Percoco, 2010, p. 91-95
- ↑ Percoco, 2010, p. 97
- ↑ Coarelli in Siritide e Metapontino: Storie di due territori coloniali, 1998, p. 281-290
- ↑ Percoco, 2010, p.97-98
- ↑ Il «Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto» ha costruito, con i fondi della «Cassa per il Mezzogiorno» e del «Piano Marshall», la diga di San Giuliano, sul fiume Bradano (1950-1958), la diga di Gannano, sull’Agri (1949-1956) e la diga del Pertusillo, sempre sull’Agri (1957-1962) (Consorzio di Bonifica della Basilicata, San Giuliano e Gannano, e Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale, Sede della Basilicata, Invaso del Pertusillo )
- ↑ Percoco, 2010, p.19-90
- ↑ Percoco, 2010, p.102-109
- ↑ Vivere a Marinagri: Guida 2015, 2015, p.5,
- ↑ Trovaparchi, Centro commerciale Heraclea
- ↑ Percoco 2010, p.168
- ↑ Percoco, 2010, p. 111-137
- ↑ Percoco, 2010, p. 91
- ↑ La diga di Monte Cotugno, nel territorio del comune di Senise (PZ) è la diga in terra battuta più grande d’Europa. Costruita dal 1970 al 1982, sbarra il corso del fiume Sinni e l’acqua che raccoglie è utilizzata a scopo potabile, irriguo e industriale in Basilicata e Puglia (Autorità di Bacino dell’Appennino Meridionale, Sede della Basilicata, Invaso di Monte Cotugno
- ↑ Sabato, Longhitano, Cilumbriello, 2014, «Introduzione e inquadramento generale» e «Esempi significativi di pressioni, minacce, criticità e impatti»
- ↑ WWF, Oasi Policoro-Herakleia)
- ↑ De Capua, 2017, p. 48-65 e 73-83