Carnevale di Putignano

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Il Carnevale di Putignano, cittadina situata nel sud barese, è uno dei Carnevali più conosciuti d’Italia e uno dei più lunghi e antichi d’Europa. Nato nel 1394, ha celebrato nel 2023 la sua 629esima edizione. La sua data d’inizio è il 26 dicembre, giorno dedicato a Santo Stefano, patrono del paese, in cui si tiene il rito delle Propaggini, e si conclude il Martedì Grasso, giorno che precede l’inizio della Quaresima. Durante questo arco di tempo, vari sono i festeggiamenti a cui sono invitati a partecipare i cittadini, tra cui, sono da ricordare soprattutto le sfilate dei maestosi carri di cartapesta. La maschera ufficiale è Farinella.

Carro vincitore dell'edizione del 2019, realizzato dal maestro Deni Bianco
Gruppi mascherati sfilano precedendo i carri allegorici

La storia

Il Carnevale di Putignano inizia il 26 dicembre, una particolarità che lo differenzia dagli altri Carnevali italiani che tradizionalmente cominciano il 17 gennaio, giorno di grande importanza per la società contadina poiché dedicato a Sant’Antonio, protettore degli animali. La loro uccisione era, in un’ottica religiosa, una liberazione dal male data la sua associazione simbolica con il demonio e con il peccato. In un’ottica contadina invece la loro macellazione era una necessità poiché fonte di carne abbondante e grassa. Queste macellazioni in realtà anticipavano già tradizioni carnevalesche odierne come cortei e mascherate, rituali primitivi di devozione religiosa che però portavano già in sé i semi di una interdipendenza tra sacro e profano.

Secondo una tradizione locale, il Carnevale di Putignano si fa risalire all’anno 1394 e, inizialmente, era fatto di riti violenti e gesti molto forti non solo sul piano simbolico-allusivo, ma anche su quello fisico tanto da spingere le autorità competenti a emanare bandi e regolamenti per mettere un freno a violenze di ogni genere compiute da singoli individui o gruppi mascherati; violenze che spesso consistevano nel lancio di oggetti più o meno pesanti e pericolosi che variavano a seconda della classe sociale cui appartenevano i protagonisti delle mascherate. Pertanto, nel 1826 il Consiglio Comunale deliberò la soppressione dei festeggiamenti. E proprio mentre tramontava quel tipo di Carnevale, ne nasceva un altro, meno aggressivo, più moderno e borghese, fatto di coriandoli e cartapesta, simbolo di una festa che ha per protagonisti non più i contadini, ma la piccola borghesia urbana, artigiani e commercianti.[1]

E così, durante i primi anni del Novecento, il Carnevale inizia il suo percorso di trasformazione che lo porterà a essere quello di oggi. Si può parlare, infatti, in questo periodo, di una istituzionalizzazione del Carnevale di Putignano che perde in parte le sue caratteristiche contadine e arcaiche dal sapore magico e violento in virtù di nuovi valori sociali. A caratterizzare il nuovo Carnevale sono i carri allegorici in cartapesta e i gruppi mascherati. È piuttosto difficile, però, indicare precisamente la data d’inizio di questi nuovi corsi mascherati. Alcune testimonianze orali raccontano di piccoli “carri allegorici” costruiti da artigiani e contadini a partire da carri agricoli addobbati con paglia e stracci per celebrare piccoli avvenimenti storici.

Nel 1903 il contadino Piero Calisi costruì un treno di legno per celebrare l’arrivo della linea ferroviaria per Locorotondo, paese limitrofo. Nel 1912 una comitiva di maschere scese in strada su un carretto trainato da un asino per celebrare la conquista di Tripoli. Bisognerà aspettare il 1933 per notare la presenza di ideologie allegoriche e polemiche. Durante quest’anno la città vide sfilare il primo piccolo carro allegorico antiamericano del fabbro Filomeno Pagliarulo. Un bambino vestito in frak e bombetta, simbolo degli USA, sedeva di fianco ad un ragazzo dal volto nero, simbolo dell’emarginazione dei popoli “deboli” rispetto allo strapotere americano. La presenza del regime fascista fu il punto di snodo dello sviluppo del Carnevale, sia perché durante questo periodo si riscontrò una forte industrializzazione del paese, sia perché i cittadini decisero di scendere per strada in “parata”. Lo stesso concetto di parata fu riportata in auge dal Regime che tentava un controllo tematico delle celebrazioni, mirando a trasformare la sfilata in una macchina di propaganda politica e militare. Il podestà, posto a capo dell’amministrazione comunale, infatti, stanziava annualmente un montepremi e conferiva encomi alle mascherate che esaltavano il Regime.

Durante questo periodo cominciò a prendere piede la lavorazione della cartapesta. Nel 1936 infatti comparve il carro degli artigiani locali Filippo e Marino Pugliese, una struttura in legno sormontata da un elefante in cartapesta, simbolo del duce e della sua forza durante le imprese coloniali. Tutta la struttura era rinforzata da una rete metallica che gli permetteva di essere “cavalcata” da sei persone e, per la prima volta, era possibile muovere la proboscide dell’elefante dalla quale alcuni bambini, nascosti nella sua pancia, lanciavano coriandoli.

Il primo carro allegorico vero e proprio, “Il porco è nostro”, fu realizzato nel 1938 dai maestri Rocco Faniuolo e Fedele Dalessandro. Il titolo del carro non solo confermava la centralità del porco all’interno del fenomeno carnevalesco ma riprendeva͔ tradizionalmente un vecchio detto che esprimeva la più grande soddisfazione per il raggiungimento di un obiettivo: in questo caso i due artisti esultavano per la conquista del potere da parte dei fascisti.

Le testimonianze scompaiono durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale quando il Carnevale entrò in un periodo di crisi per svilupparsi in modo più ricco e spettacolare, a partire dalla seconda metà degli anni Quaranta, parallelamente alla ricrescita economica del Paese. È in questo periodo che la sfilata diventa il simbolo del Carnevale pugliese. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il Carnevale entra nella sua fase d’oro. Venne, infatti, introdotta la competizione, in vigore ancora oggi, tra i maestri cartapestai con premi che ammontavano, all’epoca, a 60.000 e 70.000 lire e tra le maschere di carattere con premi tra le 1000 e le 5000 lire. Da un punto di vista artistico i maestri cartapestai iniziarono ad affinare la tecnica e la cartapesta trionfò come simbolo di questo Carnevale.

Negli anni Cinquanta le tecniche subirono un’ulteriore evoluzione. Nella lavorazione dei carri cominciò a essere utilizzata anche l’argilla e cambiò il sistema di locomozione dei carri che, non più tirati a mano o da animali, iniziarono ad essere trainati dai primi camion comparsi sulla rete stradale. Con l’arrivo nel 1954 della televisione e dei nuovi media in Italia, il Carnevale cambia ulteriormente forma. La radio lo pubblicizza, la televisione e il cinema ispirano i suoi nuovi protagonisti in cartapesta sempre più mastodontici e scenografici. Gli artisti prendono, adesso, ispirazione dai modelli comunicativi culturali senza dimenticarsi della satira e dell’ironia. Tra i soggetti preferiti ci sono “storie” e personaggi tratti dal mondo della televisione, del cinema, delle favole e di Walt Disney (Topo Gigio, Pinocchio, gli elfi, i pirati e gli indiani ecc.), ma anche dalla vita quotidiana, così come viene proposta dai grandi mezzi di comunicazione di massa. A metà degli anni Cinquanta il Carnevale ha terminato il suo processo di «provincializzazione» e svecchiamento e ha ottenuto la sua fama regionale e nazionale che possiede tuttora.[2]

Il rito delle Propaggini

La festa delle Propaggini è la manifestazione che dà il via al Carnevale di Putignano. Ogni anno, il 26 dicembre, giorno dedicato a Santo Stefano, una processione porta lungo le vie cittadine le reliquie del martire. Alla fine del corteo il presidente della Fondazione del Carnevale riceve in dono dal sacerdote un cero come richiesta di perdono per tutti i peccati che verranno commessi fino al Mercoledì delle Ceneri.

Per comprendere come questa giornata sia dedicata ad entrambe le festività, al sacro e al profano, bisogna tornare indietro nel tempo nel 1394, durante gli attacchi saraceni sulle coste adriatiche della penisola. Con lo scopo di salvarle dai saccheggi, i Cavalieri di Malta decisero di traslare le reliquie di Santo Stefano da Monopoli alla chiesa di Santa Maria la Greca a Putignano, il 26 dicembre, poiché la città costiera di Monopoli era considerato un territorio poco sicuro al contrario di Putignano che invece è situata nell’entroterra. Così, al passaggio del corteo religioso i contadini di Putignano, impegnati nella lavorazione della vite secondo la tecnica della propagazione, detta anche propagginazione (utilizzata per moltiplicare e ringiovanire i vigneti), abbandonarono i campi per proteggere le reliquie, festeggiando, brindando, innalzando canti in vernacolo e versi satirici, facendo così nascere la festa delle Propaggini.

Il cuore della festa è una sfida in dialetto a suon di satira. A partire dalle tre del pomeriggio, gruppi di attori dialettali, i cosiddetti “propagginanti”, in abiti da contadini e arnesi da lavoro, si alternano su un palco e ripercorrono gli eventi dell’anno appena trascorso recitando i famosi cippon, versi satirici in rima contro politici e personaggi noti della città. Si tratta di un rito purificatorio della comunità che, “mettendo in piazza” i misfatti della vita cittadina, attraverso la satira ne denuncia gli aspetti negativi per propiziare un futuro migliore. Alla fine della serata, una giuria proclama il gruppo vincitore: satira, padronanza del dialetto, rispetto della tradizione, efficacia dei testi, recitazione ed esecuzione musicale sono i criteri di valutazione.

Questa festa tra Ottocento e Novecento ha subito notevoli trasformazioni, sia per quanto riguarda il suo significato più profondo e autentico, sia per quanto riguarda gli stessi protagonisti. Fino alla metà del XIX secolo, il rito consisteva nella messa in scena, nel paese, delle principali attività dei campi, prima fra tutte la zappatura, effettuando dunque una rappresentazione urbana di una realtà contadina rovesciata che poteva avere la sua rivalsa sulla realtà urbana e operaia. Questa tradizione fu soppressa nel 1826 dalle autorità locali poiché il corteo provocava ingenti danni alle strade e alle abitazioni. Successivamente però il rito fu riscoperto e modificato in chiave teatrale: le vanghe, i picconi e le zappe si trasformarono in “oggetti di scena” di legno e la violenza fisica contadina fu sostituita dall’invettiva verbale e dai lamenti satirici.[3]

Farinella

Anche il Carnevale di Putignano si caratterizza per la logica del ribaltamento dei ruoli e per l’affermazione rituale del caos e la maschera ne è un elemento particolarmente adatto perché porta con sé ciò che l’uomo non è, ciò che vorrebbe diventare o che è destinato a diventare e dal quale vuole fuggire. Rovesciando dunque la sua condizione normale, la maschera lo pone davanti alla sua alterità, ad altro mondo nel quale può fuggire temporaneamente.

Farinella, la maschera ufficiale del Carnevale di Putignano

Farinella, che è la maschera simbolo di Putignano e del suo Carnevale, disegnata dal grafico Mimmo Castellano nel 1953, raffigura un giullare vestito con un abito arlecchinesco, pantaloncini blu e rossi, colori della città, cappello e scarpe a punta alle quali è appeso un sonaglio. Viene rappresentata nell’atto di saltare con le mani in alto e con il pollice e l’indice uniti come se li stesse per schioccare. Il suo stesso nome deriva dalla Farinella, l’alimento tipico della città, una polvere fine di ceci e orzo essiccati, il cibo povero consumato dai contadini con acqua, vino o olio.[4]

Come ogni maschera anche questa si lega ad una leggenda secondo la quale Farinella, contadino e fornaio, avrebbe salvato la città durante le incursioni dei saraceni nel XIV secolo spaventandoli, avendo inscenato un’epidemia di peste. Egli aveva infatti convinto alcuni cittadini a cospargersi il corpo di una polvere bagnata fingendo fossero escrescenze della malattia e altri cittadini a vestirsi con le divise dei trasportatori di malati con cappelli e scarpe a punta adornate da sonagli. [5]

Tradizioni

Orso di cartapesta che sfila per le strade del centro storico di Putignano

La festa dell'orso

Una celebrazione successiva alle Propaggini e parte integrante dell’identità cittadina carnevalesca è la Festa dell’Orso che si celebra il 2 febbraio. Questa data è strettamente collegata al calendario religioso. Il 2 febbraio è infatti il giorno della presentazione di Gesù al tempio e della Purificazione della Vergine, conosciuto anche come Candelora, la festa che celebra la Madonna con la benedizione dei ceri. Tale festività cristiana ha seguito una ricorrenza pagana che, secondo alcuni storici e studiosi, nasce in Irlanda ed è “la festa Imbolc”, un antico avvenimento che cadeva al termine della stagione fredda e buia, tra il solstizio d’inverno e l’equinozio di primavera. Il secondo giorno del mese di febbraio è, dunque, divenuto un giorno propiziatorio per decretare la fine o meno della stagione fredda che cede il passo alle prime note di primavera.

La Candelora, nella realtà del territorio della Murgia, prende anche il nome di “Festa dell’Orso”. La storia racconta che secoli fa, nel territorio, era presente l’orso bruno Marsicano, che trovava, nell’entroterra pugliese, copertura boschiva e incavi rocciosi o grotte dove poter andare in letargo. I comportamenti degli animali erano fondamentali per l’uomo per comprendere aspetti della natura allora incomprensibili al punto che l’animale diventava un essere divino. Secondo la tradizione, il comportamento dell’orso nella fase di letargo decretava o meno la fine dell’inverno, infatti se il 2 febbraio, sfruttando la bella giornata di sole, lo stesso veniva fuori dalla sua tana rifacendosi il pagliaio, ossia il giaciglio caldo, allora l’inverno durava almeno altri 40 giorni, se viceversa, la giornata era piovosa o addirittura con la neve, l’orso, dovendo rimanere nella tana, sanciva la fine dell’inverno.

L’orso nell’immaginario collettivo assume una connotazione semantica ambivalente, può essere buono e al tempo stesso cattivo e, secondo la tradizione locale, gli si attribuiva il potere magico di prevedere il tempo meteorologico e quindi le sorti della nuova annata. Su queste interpretazioni nasce la “festa dell’orso” nell’ambito dei riti del Carnevale di Putignano; una rappresentazione lirico-teatrale messa in scena, nei vicoli del centro storico, dall’Associazione locale Hybris con circa cinquanta attori, figuranti, danzatori e musicisti che interagiscono con due imponenti orsi realizzati in cartapesta mettendo in scena la caccia all’orso, la cattura, il processo per le sue malefatte, la condanna a morte per concludersi con l’oracolo meteorologico.[6]

U ndond'r

Testimonianze risalenti al XIX Secolo raccontano di piccoli cortei mascherati che salutavano il Carnevale nella speranza di una Quaresima “proficua”. Questi cortei erano chiamati "U ndond'r". La tradizione, la cui origine risale probabilmente alla nascita stessa del Carnevale putignanese ha radici etimologiche dialettali tradotte come "camminare dondolando" ed è un'altra parte fondamentale della storia e dell'identità cittadina. Fino all'inizio del Novecento, alla fine della sfilata del Martedi Grasso, tutti i cittadini del paese, di qualsiasi ceto e ordine sociale, uscivano di casa per partecipare a questo ultimo corteo capeggiato dal sindaco della città. Ogni cittadino portava con sé uno strumento musicale o un utensile domestico (coperchi, cucchiai, matterelli, mortaio, acciarini) con lo scopo di produrre rumore. L’U ndond’r putignanese fu soppresso dalle autorità a partire dal 1954 poiché, come le Propaggini, seminava disordini e distruzione per tutta la città. È stato ripristinato negli ultimi anni come U ndond’r dei bambini.[7]

L'"Accademia delle Corna" in corteo la mattina del giovedì dei cornuti

I giovedì del Carnevale

Il Carnevale di Putignano porta con sé un insieme di tradizioni allegorico-popolari distribuite tra dicembre, gennaio e febbraio. Esempi di questo fenomeno sono i Giovedì di Carnevale, l’elemento più caratteristico e peculiare perché assente nel resto d’Italia.

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il quarto giorno della settimana diventava per la comunità di Putignano un espediente per poter celebrare se stessa. Ogni Giovedì era ed è dedicato alle invettive verso una diversa categoria di membri della comunità e ceto sociale: monsignori, preti, monache, cattivi (vedovi e vedove), pazzi, donne sposate e cornuti. La tradizione è ovviamente mutata nel tempo.

Durante il secolo scorso i cittadini mascherati si incontravano negli iusi, i sottani del centro storico, per banchettare ironizzando sulla categoria sociale protagonista di quel giovedì, di solito poco soggetta ai divertimenti e allo svago. Dopo il dileggio si iniziava a danzare: a ogni partecipante veniva data una coccarda colorata e successivamente a ritmo di musica venivano chiamati uno a uno i diversi colori così uomini e donne possessori della coccarda dello stesso colore potevano danzare insieme. Oggi, per motivi di sicurezza, non è più possibile accedere ai sottani, ormai diventati cantine del centro storico, ma i Giovedì continuano ad essere celebrati grazie agli artigiani e ai negozianti che addobbano i loro locali invitando i cittadini a ballare.[8]

Una delle "nuove tradizioni" più sentite dalla comunità è la creazione dell'Accademia delle Corna, un'istituzione satirico-pittoresca fondata da uomini sposati (definiti ironicamente i cornuti) che anima il paese il Giovedì dei Cornuti. Fin dalla prime luci del giorno una comitiva di uomini, i membri dell'“Accademia", vestiti con lunghi mantelli neri, sciarpe rosse e cilindri con lunghe corna di bue in cartapesta, si riuniscono nel cornéo, il loro corteo cittadino, capeggiato da una grande effigie di un bue, anch'esso in cartapesta e accompagnato da lamenti, nenie, canti dalle note dolorose, cori e schiamazzi. Lo scopo è quello di raggiungere "Il Gran Cornuto" o "Cornuto dell'Anno", portarlo, a sua insaputa, nella chiesa sconsacrata di Santo Stefano e lì "incoronarlo" tra note di pizzica e tarantella. Il titolo di "Gran Cornuto" si riferisce a un personaggio locale, di qualsiasi grado, particolarmente furbo, ironico e con spiccate qualità nel suo lavoro.

A partire dal 2012, oltre a personaggi della comunità locale, il titolo è stato conferito a personaggi più illustri come Vittorio Sgarbi, la comica Luciana Littizzetto o il sindaco di Bari Antonio Decaro. Ovviamente in questo caso l'incoronazione è avvenuta a distanza. L'onorificenza si carica di una forte valenza folcloristica in quanto riprende, parafrasandolo, il detto putignanese secondo cui un cornuto è colui che furbamente riesce ad avere successo in ogni ambito. Durante la serata, nella piazza principale inizia il rito del "Taglio delle Corna": il corteo giunto festante a destinazione monta un piccolo palco sul quale vengono invitati a turno tutti i cittadini e il rito si conclude per tutti con il metaforico taglio del palco corneo, una sorta di rito di purificazione.[9]

Il Funerale del Carnevale

Il funerale del Carnevale e la Campana dei Maccheroni

Il Carnevale è sempre stato associato iconograficamente agli animali: orsi, asini e maiali ne sono emblemi, parte integrante della sua ritualità che li vedeva sfilare anche durante gli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento.

Il Funerale e l’estrema unzione diventano così la conclusione del Carnevale più lungo e antico d’Europa, perfettamente equilibrato tra licenziosità, tradizione, tra macabro e festoso, tra augurio e fine. Dopo l’ultima sfilata di carri allegorici, programmata il Martedì Grasso in orario serale, le strade del centro storico vengono percorse da un corteo capeggiato da una maschera di carattere, la Vedova, una donna che in abiti neri saluta il marito destinato a "morire" e denuncia le malefatte della comunità pronta ora al pentimento della Quaresima. Il corteo è aperto da una grande scultura in cartapesta del caro estinto, un maiale incoronato, disposto su un asse di legno, circondato da fiaschi e piatti. La scultura evidenzia dunque l'iconografia classica del Carnevale/maiale simbolo di eccessi, della baldoria, del peccato infernale, dell'inganno e della gola. [10]

Alla fine del corteo la scultura viene portata in piazza e fatta bruciare. Di questa rimane solo polvere che, una volta raccolta, viene lanciata sulla gente come avvertimento per l'arrivo della Quaresima e del Mercoledì delle Ceneri. Il sacrificio viene scandito da 365 rintocchi di campana che per un'ora risuonano per tutta la città. Anche questi rintocchi diventano ricordi di antiche tradizioni. Fino a metà dell'Ottocento infatti, un'ora prima della mezzanotte, la campana della chiesa del paese suonava 365 volte, una per ogni giorno dell'anno. Per i Putignanesi il tempo delle feste era finito, la Chiesa tornava a osservare i loro comportamenti.

Oggi la vecchia campana non esiste più, ma ogni anno una nuova campana di cartapesta viene montata in piazza e inneggiata dai cittadini salutano il Carnevale appena morto e si preparano al periodo di penitenza, gustando un piatto di maccheroni. [11]

Note

  1. Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, p.12.
  2. Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia, pp.14-20.
  3. Pietro Sisto, L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia, pp. 18-20.
  4. Pietro Sisto, L'ultima festa: storia e metamorfosi del Carnevale in Puglia, pp. 39,40.
  5. Pietro Sisto, I giorni della festa: miti e riti pugliesi tra memoria e realtà
  6. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/la-festa-dell-orso.html
  7. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/u-ndond-r.html
  8. Pietro Sisto, I giorni della festa. Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà
  9. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/i-giovedi.html
  10. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/estrema-unzione.html
  11. https://centrostoricoputignano.it/il-carnevale/i-riti/funerale-del-carnevale.html

Bibliografia

  • Pietro Sisto, L' ultima festa: storia e metamorfosi del carnevale in Puglia, Bari, Progedit, 2008.
  • Pietro Sisto, Dalle Propaggini alla Campana dei Maccheroni: il Carnevale di Putignano tra «letteratura», storia e folklore, Putignano (BA), Vito Radio, 1993.
  • Pietro Sisto, Omaggio ad Armando Genco e alla sua arte di carta tra satira e ironia...
  • Pietro Sisto, I giorni della festa. Miti e riti pugliesi tra memoria e realtà, Bari, Progedit, 2012.
  • https://centrostoricoputignano.it/
  • https://www.carnevalediputignano.it/home/il-carnevale/la-storia/