Storia della Russia dalle rivoluzioni del 1917 alla fine della guerra civile
A partire dal febbraio 1917 la Russia fu interessata da una serie di eventi rivoluzionari che causarono il crollo dell'Impero zarista, l'instaurazione di un regime dittatoriale comunista a opera dei bolscevichi di Lenin e lo scoppio di una sanguinosa guerra civile che devastò il Paese e vide coinvolte diverse potenze europee già impegnate nella Prima guerra mondiale.
Contesto storico[modifica]
All'inizio del XX secolo la Russia faceva parte dell'Impero zarista ed era un Paese prettamente agricolo nel quale la popolazione contadina viveva in condizioni di estrema povertà. L'Impero zarista aveva un territorio molto esteso con una popolazione eterogenea, che in buona parte viveva in insediamenti rurali isolati, basati sul possesso collettivo delle terre e sulla coltivazione estensiva dei cereali. L'economia si basava soprattutto sull'esportazione di prodotti cerealicoli, tanto che il Paese veniva considerato il "granaio d'Europa".[1].
In alcune zone dell'Impero era in corso un processo d'industrializzazione che era iniziato nella prima parte dell'Ottocento e che aveva portato al trasferimento di grandi masse di contadini e braccianti dalle campagne alle città (San Pietroburgo, Mosca, Riga) dove sorgevano le fabbriche. Il processo riguardava soprattutto i settori minerario, metallurgico, petrolifero e tessile; era caratterizzato da impianti di grandi dimensioni (con più di mille operai) e subì un notevole sviluppo grazie alla costruzione della rete ferroviaria che già all'inizio del XX secolo si estendeva per circa 60.000 Km.[2].
La classe operaia viveva in condizioni precarie. Era sfruttata e costretta a lavorare per molte ore al giorno a ritmi estenuanti in cambio di un salario molto basso. A peggiorare la situazione intervenne l'aumento delle imposte indirette, come quella sugli alcolici (di largo consumo tra gli operai) per sostenere le spese del settore militare, che gravavano soprattutto sulle fasce più povere della popolazione.[3].
La rapida espansione del proletariato portò alla diffusione delle teorie marxiste che, con la pubblicazione del Manifesto del Partito Comunista di K. Marx e F. Engels (1848), ebbero grande divulgazione in tutta Europa e un grande successo tra intellettuali e studenti universitari russi, che si impegnarono a istruire e a educare le masse operaie. La collaborazione tra intellettuali e lavoratori portò alla fondazione del Partito Operaio Socialdemocratico Russo (POSDR), nel marzo del 1898, alla quale partecipò attivamente Lenin che si impegnò a combattere il dispotismo zarista e a diffondere le teorie marxiste nei circoli operai. Il partito era composto dai bolscevichi, che costituivano la corrente maggioritaria rivoluzionaria marxista, e dai menscevichi, che erano la corrente minoritaria d'ispirazione liberale. I bolscevichi miravano alla conquista del potere con la rivoluzione, all'eliminazione del capitalismo e all'instaurazione di una dittatura del proletariato; i menscevichi auspicavano una collaborazione con la borghesia liberale e la formazione di una repubblica democratica.[4].
Il governo zarista di Nicola II Romanov (1894-1917) era orientato all'espansionismo territoriale verso l'Asia orientale e in particolare verso la Manciuria (regione nord-orientale della Cina) che fu occupata nel 1899. Lo zar adottò una politica estera espansionistica anche allo scopo di distogliere l'attenzione delle masse popolari dai problemi interni. Il Giappone per opporsi all'espansionismo russo attaccò la base navale di Port Arthur in Manciuria nel febbraio del 1904, dando così inizio a un conflitto che si risolse con la sconfitta della Russia (5 settembre 1905).[5].
Il conflitto ebbe notevoli conseguenze sul versante interno e contribuì ad accrescere il malcontento della popolazione russa, che il 22 gennaio del 1905 organizzò una manifestazione pacifica durante la quale la folla si diresse verso il Palazzo d'Inverno a San Pietroburgo per presentare una petizione allo zar. Tale petizione prevedeva una serie di richieste di riforme: la cessazione della guerra con il Giappone, il riconoscimento dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge, la concessione della giornata lavorativa di otto ore. Le truppe zariste reagirono sparando sulla popolazione inerme. Tale evento, che passò alla storia con il nome di "domenica di sangue", segnò l'inizio di una lunga serie di manifestazioni e scioperi organizzati dai primi soviet, le assemblee consiliari di contadini, operai e borghesi. Alle manifestazioni si unirono anche i soldati, che diedero vita a numerose rivolte militari in tutto l'Impero.[6].
Di fronte al pericolo della rivoluzione, lo zar concesse una Costituzione che prevedeva delle libertà limitate di parola, stampa e associazione e istituì la Duma, un organo legislativo con funzione anche consultiva. Nonostante questi provvedimenti la popolazione continuava ad organizzare scioperi e manifestazioni per chiedere riforme più incisive. Perciò lo zar decise di riprendere la politica repressiva; inoltre, per mantenere il proprio potere, cercò di ottenere l'appoggio dei contadini trasformando un gran numero di coltivatori in piccoli proprietari terrieri.[7]
Rivoluzione di febbraio[modifica]
Allo scoppio della Prima guerra mondiale l'Impero russo scese in guerra a fianco dell'Intesa (Gran Bretagna e Francia), nonostante l'opposizione dei socialdemocratici e l'inadeguatezza del Paese a sostenere il conflitto. La Grande guerra causò una considerevole perdita di uomini e di mezzi e una notevole carestia dovuta alla scarsa produzione agricola in seguito all'abbandono dei campi da parte dei contadini costretti ad arruolarsi o a lavorare nell'industria bellica.[8]. Tale situazione determinò un ulteriore malcontento generale che sfociò in una protesta popolare contro lo zar a Pietrogrado, il 23 febbraio del 1917 (secondo il calendario ortodosso), durante la quale le truppe dello zar invece di reprimere la rivolta si unirono ai rivoltosi e l'insurrezione, detta "rivoluzione di febbraio", si diffuse in tutti i territori dell'Impero zarista.
Il 27 febbraio (secondo il calendario ortodosso) i deputati della Duma si riunirono disobbedendo allo zar, allo scopo di creare un governo provvisorio, a capo del quale venne nominato il principe Georgij L'vov, un liberale sostenitore degli interessi dei proprietari terrieri e degli industriali; l'unico ministro di sinistra era il socialdemocratico Aleksandr Kerenskij. Il nuovo governo sostenuto dai soviet costrinse lo zar Nicola II ad abdicare. Le forze politiche dei soviet essendo costituite dai socialisti rivoluzionari e dai socialdemocratici, finirono per entrare in contrasto con il governo conservatore.[9].
Lenin[modifica]
Nell'aprile del 1917 Lenin rientrò a Pietrogrado dopo l'esilio in Svizzera, sostenuto e finanziato dal governo tedesco che voleva creare contrasti e tensioni all'interno della Russia, favorendo il disfattismo. Lenin enunciò al suo partito il suo discorso politico attraverso le "Tesi di aprile", che prevedevano il conferimento di tutto il potere ai soviet, la cessazione immediata della guerra, un congresso del partito con il nuovo programma e il cambio del nome in Partito comunista, l'intento di non collaborare con il governo provvisorio, la nazionalizzazione delle terre e delle banche.[10].
Nel maggio del 1917 si costituì un nuovo governo formato anche da menscevichi e socialisti rivoluzionari. Kerenskij fu nominato ministro della guerra ed espresse la volontà di proseguire il conflitto. Le sconfitte militari resero più forte il malcontento popolare e maggiore l'insofferenza dei soldati al fronte, causando nuove rivolte. A luglio le truppe di Pietrogrado insorsero con l'appoggio del soviet locale e dei bolscevichi ma la rivolta venne soffocata, Lenin fu accusato di spionaggio al servizio dei tedeschi e venne esiliato. L'vov fu costretto a dimettersi e il governo passò a Kerenskij, che riconfermò l'obiettivo di proseguire la guerra, di riorganizzare lo Stato su basi democratiche e di eleggere un'assemblea costituente. Le rivolte continuavano a dilagare e a moltiplicarsi, e una parte delle truppe, guidata dal generale Kornilov che aveva disertato il fronte, tentò un colpo di Stato. I bolscevichi riuscirono a sventare il golpe e conquistarono dei consensi sempre più ampi da parte della popolazione. [11]
Rivoluzione d'ottobre[modifica]
Lenin rientrò a Pietrogrado verso la metà di ottobre allo scopo di prendere il potere con un'insurrezione armata. Il 24 ottobre (calendario ortodosso) un corpo armato di operai, chiamato "la guardia rossa", assaltò il Palazzo d'Inverno e altri punti nevralgici della città senza incontrare opposizione, con l'obiettivo di formare un governo provvisorio di operai e soldati.[12] Kerenskij fuggì da Pietroburgo, i suoi ministri vennero arrestati e Lenin annunciò al Congresso dei soviet la presa del potere e il suo conferimento ai soviet. Tale evento passò alla storia con il nome di "rivoluzione d'ottobre".[13].
Governo[modifica]
A seguito della rivoluzione d'ottobre si costituì un nuovo governo che fu chiamato "Consiglio dei Commissari del popolo", nell'ambito del quale Lenin assunse il ruolo di presidente, Trockij quello di commissario degli esteri e Stalin quello di commissario delle nazionalità, con la funzione di gestire le relazioni tra i territori dell'ex Impero. La nuova organizzazione dello Stato sovietico era di tipo federale, in cui la Russia svolgeva un ruolo dominante.
La prima situazione critica che il governo dovette affrontare fu quella dell'elezione dell'assemblea costituente. Le elezioni a suffragio universale previste dal precedente governo Kerenskij portarono a una vittoria dei socialisti rivoluzionari con il 58% dei voti, mentre i bolscevichi ottennero solo il 25%. [14]. A fronte di tale esito, i bolscevichi cercarono di invalidare le elezioni accusando gli avversari di brogli elettorali e dichiarando la superiorità del potere dei soviet rispetto all'assemblea.[15]. Quest'ultima si riunì solo una volta e venne sciolta. In seguito a tale evento il bolscevismo venne definito dagli avversari politici come l'affossatore dispotico della democrazia.
All'inizio del 1918 per consolidare e mantenere il potere Lenin utilizzò il mezzo del "terrore rosso", una strategia basata su arresti, deportazioni ed esecuzioni nei confronti dei nemici del popolo, a opera della polizia politica, la Ceka.[16].
I bolscevichi di Lenin ritenevano indispensabile l'uscita della Russia dalla guerra per risollevare le sorti del Paese e permetterne la ricostruzione, ma anche per espandere e consolidare la dittatura del proletariato. Il 15 dicembre del 1917 il governo bolscevico firmò l'armistizio con la Germania e il 3 marzo del 1918, a Brest-Litovsk, la Russia firmò il trattato di pace che prevedeva un accordo oneroso: la cessione della Finlandia, dell'Ucraina, della Polonia, della Lituania, dell'Estonia, della Lettonia e di alcuni territori caucasici e il pagamento di un indennizzo di tre miliardi di marchi alla Germania.[17]. Le conseguenze delle cessioni territoriali determinarono una notevole perdita della produzione agricola (del 55%), di quella metallurgica (del 70%) e di quella carbonifera (del 90%). La pace voluta da Lenin fu considerata lesiva degli interessi della Russia dalla minoranza del Partito socialista e dai socialisti rivoluzionari di sinistra che abbandonarono il governo. A livello internazionale le potenze dell'Intesa considerarono il trattato di pace un voltafaccia a vantaggio degli Imperi centrali.[18].
Guerra civile[modifica]
Tra il 1918 e il 1921 la Russia fu teatro di una sanguinosa guerra civile che coinvolse i rossi (bolscevichi e rivoluzionari) e i bianchi (conservatori, democratici e militari fedeli allo zar) e causò la morte di milioni di persone. I bianchi costituirono un esercito anticomunista, l'Armata bianca, sostenuto dai cosacchi, i soldati della cavalleria di stirpe tatara fedeli allo zar.[19]. Le potenze dell'Intesa, timorose che gli ideali socialisti si diffondessero anche nei loro territori, decisero d'intervenire militarmente a favore dei bianchi occupando dei porti russi sul mare di Barents, la città di Vladivostok sul Mar del Giappone, Odessa (Ucraina) e Sebastopoli (Crimea).[20]. All'inizio l'Armata bianca sembrò avere la meglio e si avvicinò a Ekaterinburg (nella regione degli Urali) dove era imprigionato lo zar assieme ai suoi familiari. I bolscevichi, temendo un ritorno della monarchia, fucilarono Nicola II e la sua famiglia (17 luglio 1918); subito dopo (23 luglio) proclamarono la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa e il Partito comunista divenne l'unico partito. Il governo per contrastare i bianchi istituì l'Armata rossa, un esercito posto sotto la guida di Trockij che reintrodusse la leva obbligatoria, creando così un'armata di 5 milioni di soldati.[21].
Durante il primo anno della guerra civile il governo dovette adottare una serie di provvedimenti di carattere economico e sociale, definiti "comunismo di guerra", allo scopo di fronteggiare la drammatica situazione interna. Tali provvedimenti vennero attuati per quattro anni e prevedevano:
- la confisca di tutti i beni ecclesiastici e di quelli della famiglia imperiale
- il controllo della produzione agricola e industriale da parte dello Stato
- la requisizione delle provviste alimentari in surplus rispetto al fabbisogno familiare
- il razionamento delle derrate alimentari tramite l'uso di tessere
- il divieto di sciopero nelle fabbriche e l'introduzione del lavoro coatto
- l'abolizione della libertà d'opinione
I provvedimenti economici adottati assicurarono rifornimenti continui all'Armata rossa impegnata nella guerra civile, ma furono osteggiati dalle masse contadine e in particolare dai kulaki, i piccoli proprietari terrieri che non volevano cedere le loro terre e si opponevano alla collettivizzazione. Lenin utilizzò la repressione per soffocare ogni forma d'opposizione, avvalendosi della polizia politica.
Nei primi mesi del 1921 ci fu la rivolta dei contadini di Tambov (Russia centrale) e quella dei marinai della base navale di Kronstadt (isola di Kotlin nel Mar Baltico) che si ribellarono alla dittatura del proletariato comunista che aveva tradito gli ideali rivoluzionari per i quali anch'essi avevano combattuto.
I bolscevichi soffocarono la ribellione nel sangue, ma questo evento segnò la fine del comunismo di guerra e del periodo rivoluzionario in Russia.[22].
Gli eserciti dell'Intesa lasciarono il territorio russo a causa dei contrasti politici tra le varie potenze, determinando così le sorti del conflitto.
La guerra civile si concluse con la capitolazione di Vladivostok (25 ottobre 1922) a favore dell'Armata rossa, sostenuta anche dalla popolazione civile che temeva un ritorno al passato zarista.[23]
Note[modifica]
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 29-30.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 36-37.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 38-39.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 41-43.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 35-36.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 51-52.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 54-56.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 64, 77.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l'attualità, pp. 146-147.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 85.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 149.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 149-150.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 89-90.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp.150.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 92.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 93.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 64-65.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 150-151.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 151.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 106.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 152.
- ↑ Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità, pp. 152-153.
- ↑ Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa, pp. 131-132, 134.
Bibliografia[modifica]
- Antonio Brancati e Trebi Pagliarani, Nuovo dialogo con la storia e l’attualità. 3 l’età contemporanea, Milano, Rizzoli, 2015.
- Giuseppe Vottari, La Rivoluzione Russa. Gli spilli, Milano, Alpha Test, 2002.